Andora. C’è chi inciampa nelle maglie della burocrazia e chi nelle tortuosità della legge che, talvolta, lasciano indifesi i cittadini. Lo sa bene Pompeo Di Latte, titolare di una ditta artigianale di produzione di prodotti tipici locali ad Andora, che, da circa sei anni, è alle prese con scartoffie e aule di tribunale nel tentativo di far valere i propri diritti e di dimostrare di essere vittima di una fregatura.
Il suo “calvario giudiziario” è iniziato dopo aver affidato i lavori di ristrutturazione della sua casa andorese ad un’impresa edile di proprietà di un conoscente il quale, lamentando problemi di liquidità, si è fatto anticipare fin da subito buona parte del costo dei lavori, che ammontava a circa 27 mila euro. Dopo aver fatto un primo bonifico di 10 mila euro, Di Latte, andando incontro alle esigenze di quella che riteneva una persona affidabile, ha staccato ulteriori assegni (“per il costo dei materiali”, sosteneva il titolare della ditta) saldando praticamente quasi tutto il pagamento ancor prima che i lavori fossero terminati.
Un giorno, però, si presenta alla sua porta, il titolare di un’altra impresa a chiedere il pagamento di 2.400 euro per i lavori effettuati da un proprio operaio “preso in prestito” dalla ditta appaltatrice per dare l’intonaco alla facciata della casa e mai pagato. Soldi che, all’oscuro della faccenda, Di Latte si rifiuta di dare, vedendosi però recapitare dall’uomo, pochi giorni dopo, una fattura dello stesso importo.
“Immagini la mia sorpresa – racconta Di Latte – A questo punto mi sono rivolto al titolare dell’impresa cui avevo affidato i lavori per chiedere delucidazioni in merito e questi mi confessa di dovere al suo ‘collega’ 1.800 euro per i lavori effettuati dal suo dipendente preso ‘in prestito’. Cosa che mi offro di fare io, a patto che la ristrutturazione della mia casa fosse terminata al più presto. Nemmeno questo è servito: perchè il ‘signore’ che mi aveva inviato la fattura di 2.400 euro è ricorso al tribunale di Imperia per ottenere l’ingiunzione di pagamento della stessa, sostenendo che esisteva un accordo verbale tra mia moglie e lui per la ‘messa a nuovo’ di quel tratto di muro da intonacare. Cosa assolutamente falsa. Il risultato, però, è stato che il tribunale mi ha condannato a pagare la fattura che, pur in assenza di un contratto, testimonierebbe la presenza di una sorta di accordo fra me e quel signore”.
Insomma, il danno insieme alla beffa: non solo Di Latte ha pagato tutti i lavori di ristrutturazione (peraltro non completati), non solo si sarebbe offerto di pagare i 1800 euro che la ditta appalatatrice avrebbe dovuto al dipendente della seconda impresa, ma ora si trova a dover saldare circa 7.000 euro (i 2400 euro fatturati più le spese connesse alla causa che va avanti da anni) per una fattura emessa a sua insaputa da una persona a cui non ha mai affidato alcun lavoro.
“Io avrei stilato un contratto con questo signore, il che è falso – spiega Di Latte – Nelle carte processuali non esiste alcun documento scritto tra me e lui. In più ho un documento scritto della ditta a cui mi sono rivolto (la quale si è pure rifiutata di testimoniare a mio favore) dove conferma che è stata proprio lei a dare in subappalto i lavori, e non mia moglie. Penso che questo non sia un problema solo mio, ma che riguardi tutti i cittadini. Mi spiego: lo sa che oggi, in Italia, l’obbligo di stilare un contratto esiste solo tra un’impresa e un ente pubblico? Tra noi cittadini non esiste quest’obbligo, con le conseguenze che sto subendo io. Se si estendesse l’obbligo di redigere contratti anche tra privati il mio caso non sarebbe mai nato. Come il mio, tanti altri. Non solo: non avrei perso sei anni nelle aule di tribunale. Non è possibile che, come è successo a me, ci si ritrovi a ricevere a casa una fattura da un tizio mai conosciuto prima che pretende il pagamento di una somma, sostenendo di avere un accordo verbale con me, e vedersi condannati. E’ una lacuna legislativa pericolosa per noi cittadini cui bisogna porre rimedio. Ricorrerò in appello”.