India. E’ stata fissata per il 19 aprile l’udienza del giudice indiano che deciderà se accogliere o meno la richiesta di libertà dietro cauzione formulata dai legali che difendono Tommaso Bruno di Albenga e la torinese Elisabetta Boncompagni, i due italiani in carcere da quasi due mesi nella città santa indiana di Varanasi (la antica Benares) con l’accusa di omicidio di un loro amico, Francesco Montis.
Gli avvocati che seguono i due giovani sono gli stessi che hanno ottenuto mesi fa l’assoluzione in primo grado di Angelo Falcone, un altro italiano inciampato nelle maglie della giustizia indiana che lo aveva accusato di narcotraffico. L’accusa di omicidio per Bruno e la Boncompagni deriva dal decesso del giovane di 31 anni di origine sarda è avvenuta il 4 febbraio nell’ospedale dove era stato portato in mattinata in stato di grave incoscienza.
Fonti diplomatiche italiane a New Delhi che seguono la vicenda hanno ricordato oggi che “qualche giorno dopo la morte di Montis, è venuta una sua amica dall’Italia che con una delega della famiglia ha proceduto alla cremazione del cadavere e al rimpatrio dei resti”. Compatibilmente con le condizioni carcerarie indiane, ha ancora detto la fonte, “i due stanno discretamente bene. Hanno ricevuto una prima visita consolare e in questi giorni ci stiamo preparando ad una seconda, in permanente contatto con i parenti e con i legali dell’autorevole studio che la famiglia ha scelto anche dietro nostro consiglio”.
Sulla base dell’esperienza, i tempi di realizzazione del processo non saranno brevi, anche perché l’accusa formulata nei confronti di Bruno e Boncompagni dalla polizia indiana è pesante: omicidio legato ad una vicenda sentimentale. Il compito principale della difesa sarà fra l’altro non solo quello di smontare la tesi accusatoria, ma anche di ridurre l’impatto dell’autopsia che parla chiaramente di morte per asfissia da strangolamento e menziona l’esistenza di sei ferite da oggetto contundente a testa e collo della vittima.
Ma i due imputati, e perfino i famigliari di Montis, ripetono che la morte va attribuita a una serie di concause, di cui è principalmente responsabile lo scadente stato di salute del giovane che, si è appreso, faceva anche forte uso di tranquillanti. Il vice-commissario Sageer Ahmad, che ha coordinato le indagini sulla morte, ha detto oggi per telefono all’Ansa che “alla radice di tutto c’era un triangolo amoroso. La Boncompagni, che prima era legata sentimentalmente con Montis, aveva poi allacciato una relazione con Bruno, e questo aveva fortemente depresso la vittima”.
Ahmad ha poi evocato l’esistenza di “prove circostanziali”, una autopsia che a suo dire “non lascia dubbi”, e anche il fatto che i tre nell’hotel dormissero nello stesso letto e facessero uso di sostanze stupefacenti. L’ufficiale ha infine detto che i due sono in stato di arresto e che occupano celle separate nel carcere distrettuale di Varanasi in attesa del processo.