[image:9276:r:s=1]Cairo Montenotte. Intimidazioni in puro stile mafioso, per fare tacere o per far cambiare versione dei fatti. I tre giovani arrestati dai carabinieri della Compagnia di Cairo agivano con consumata durezza, nonostante la giovane età, per “chiudere la bocca” ai testimoni chiamati a fornire informazioni agli inquirenti impegnati nelle indagini sull’omicidio di Roberto Siri (nella foto in basso), il trentasettenne massacrato a calci e pugni il 2 febbraio scorso, davanti all’ospedale di Cairo, durante una spedizione punitiva dopo una rissa in discoteca.
Le tre ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state eseguite in nottata nei confronti di Johnny Caruso, 22 anni, di Cairo; Christian Loi, 23 anni, di Teramo, e Vincenzo De Fazio, 21 anni, di Lamezia Terme. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, era il pluripregiudicato Caruso a dirigere gli atti intimidatori, spalleggiato dagli altri due, entrambi operai edili con precedenti per droga e violenza privata. Il ventiduenne valbormidese, che fra l’altro la scorsa settimana si è reso protagonista di un’aggressione a colpi di mazza baseball ai danni di un trentenne, alternava botte a minacce.
Due gli episodi salienti ai danni di altrettanti testimoni dell’omicidio Siri. Uno avvenuto a Carcare, l’altro a Cairo. Nella prima circostanza, in particolare, Caruso si era lasciato andare ad un pestaggio selvaggio, servendosi anche del calcio di una pistota, tanto da infliggere alla vittima dell’assalto lesioni gravissime che hanno comportato la perdita della vista da un occhio.[image:5358:r:s=1]
I tre volevano ridurre i testimoni all’omertà o, almeno, a modificare aspetti delle loro versioni per coprire uno degli autori dell’agguato mortale arrestati dai carabinieri: il ventitreenne cairese Samuel Costa. Sarebbe stato un incontro in carcere fra lo stesso Costa e Johnny Caruso, in un periodo di detenzione di quest’ultimo, fra marzo e luglio, all’origine di quelle che poi si sono trasformate in violenze ai testimoni.
Costa infatti avrebbe investito Caruso del compito di far zittire chi sapeva qualcosa e voleva parlare. Il giovane, una volta fuori, con l’aiuto dei due complici, avrebbe eseguito senza remore il mandato. Non è stato facile per gli uomini dell’Arma risalire ai responsabili delle minacce e delle lesioni, soprattutto perché Loi e De Fazio, trasfertisti, non frequentavano normalmente le zone valbormidesi. Ma in tre settimane di indagini, coordinate dal sostituto procuratore Ubaldo Pelosi, il cerchio si è chiuso. Ora gli inquirenti contano di assicurare alla giustizia Arjian Quku, il ventottenne albanese sparito subito dopo il brutale omicidio, presumibilmente rifugiatosi all’estero.
“Riteniamo che all’origine della vicenda di vessazione nei confronti dei testimoni vi sia l’incontro in carcere fra Costa e Caruso – dichiara il capitano Carlo Caci, comandante della Compagnia dei carabinieri di Cairo – Tutta l’attività che abbiamo posto in essere è stata intensa ed articolata. Gli episodi contestati sono in stretta relazione a quanto è avvenuto prima e dopo l’aggressione in cui ha perso la vita Roberto Siri, ma non hanno una connessione diretta. Johnny Caruso ha agito per far sì che i testimoni cambiassero la loro versione dei fatti o non deponessero affatto. Escludiamo però, allo stato attuale, che le persone arrestate questa notte siano state coinvolte nell’omicidio di Siri”.