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Ogm, ricerca ed esperienza negano l’aumento della produttività

Carissimi, chi di voi mi legge fin dall’inizio si ricorderà del mio articolo sugli Ogm e sui miti da sfatare. Vero è che qualcuno difendeva tale scelta adducendo sostanziosi aumenti di produzione… Ma ecco la smentita: infatti sono sempre più numerosi i riscontri che smontano gli Ogm sotto ogni punto di vista, mettendoci in guardia sui seri rischi che essi comportano sul piano ambientale, economico, sociale.

Talvolta si tratta di risultati della ricerca scientifica, in altri casi sono frutto dell’esperienza diretta di migliaia di agricoltori in diversi paesi del mondo, come racconteremo alla Conferenza “Senza Ogm si può”, in programma il 24 ottobre al Salone del Gusto. Anche in tema di produttività inizia ad essere corposa la letteratura scientifica che nega il mito delle rese maggiori garantite dalle colture geneticamente modificate.

Molto significativo è il lavoro firmato dall’Università del Kansas, che ha analizzato la produzione della famosa corn belt americana negli ultimi tre anni, rilevando che la produttività delle coltivazioni transgeniche (soia, mais, cotone e colza) è stata inferiore rispetto ai dati dell’epoca anteriore all’introduzione degli Ogm. Fino al 10% in meno per la soia, un rendimento totalmente negativo per il mais e rendimenti minori anche per le altre coltivazioni: se consideriamo che i semi geneticamente modificati sono molto più costosi di quelli convenzionali, il bilancio per gli agricoltori diventa disastroso.

Analoghi risultati erano già emersi in altri studi degli ultimi anni. Nel 2007 l’Università del Nebraska documentò una resa della soia transgenica inferiore del 6% rispetto alla soia convenzionale (entrambe della medesima multinazionale) e lo stesso Ministero dell’Agricoltura Usa nell’aprile 2006 presentò uno studio che giungeva a conclusioni simili.

I crescenti segnali negativi che arrivano dal mondo scientifico si vanno così a sommare al parere largamente contrario alla presenza di Ogm nella catena alimentare dell’opinione pubblica e ad autorevoli prese di posizione istituzionali. Persino la Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite, lo scorso fine aprile, ha criticato l’impiego di prodotti transgenici in agricoltura, esigendo dai governi iniziative urgenti a tutela dei contadini di fronte alle multinazionali. Eppure tutto ciò non basta a fermare i fautori del transgenico, spinti dai grandi profitti che sono garantiti dai brevetti sui semi: nella sfida tra l’avidità di questa minoranza e gli interessi della collettività c’è il futuro dell’agricoltura del pianeta.

Parte dell’articolo l’ho citato dal presidente Slow Food Burdese, ma le Università (tranne quella di Pollenzo) non sono certo nostre!

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