Pietrate contro un gabbiano

Gabbiano

[image:8571:r:s=1]Una volta sulle spiagge c’erano i ragazzini che si divertivano a costruire castelli di sabbia. Non che adesso non ce ne siano più, ma ormai la tecnologia ludica è riuscita a ritagliarsi il predominio anche sui bagnasciuga. Così le consolle portatili hanno sostituito paletta e secchiello.

Fin qui niente di male, forse. L’utilizzo dei videogiochi, se non improprio, può essere educativo. Tutto sta a verificare che non distolga il giovanissimo dal senso della realtà, catapultandolo in un mondo dove il significato del dolore scompare dietro una raffica di bit.

Un esempio di come certi ragazzi possano essere irrazionalmente capaci di infliggere sofferenza, quasi fossero in una dimensione “virtuale”, ce lo fornisce un recente episodio, accaduto sulla spiaggia libera di corso Vittorio Veneto, a Savona. Qui un gruppo di ragazzini terribili ha bersagliato un giovane gabbiano con un lancio di pietre.

Il volatile è precipitato in acqua con un’ala quasi staccata. Recuperato dai volontari della Protezione Animali, è stato trasportato dal veterinario che, malgrado l’immediato intervento chirurgico, è stato costretto ad amputargli l’arto.

Per sottolineare l’impegno dell’Enpa, Mario Caccamo, di Ceriale, mi scrive: “A parte la Protezione Animali, che si impegna in ogni modo a loro favore, dei gabbiani della nostra costa non gliene frega niente a nessuno. Lo dimostra quanto accaduto qualche giorno fa a Laigueglia: due turiste che assistevano un gabbiano in difficoltà lungo la ferrovia hanno atteso invano che qualche incaricato dell’Ambito di Caccia di Albenga lo soccorresse. Meno male che l’animale si è ripreso da solo ed è poi volato via”.

Torniamo al caso della spiaggia savonese. Adolescenti e bambini hanno un rapporto complesso con il mondo animale: di empatia, si sa, e qualche volta di crudeltà. Ma il fatto avvenuto sull’arenile savonese denota un’irresponsabilità che desta stupore, così come desta preoccupazione la mancanza di sensibilità verso un animale che, proprio per archetipo, è il simbolo del volo libero.

Quei ragazzini hanno condannato il gabbiano ad una vita senza libertà. Lo hanno privato degli spazi aperti, del mare spumeggiante, del sole e di quanto altro tritamente poetico, ma vivo, lo avrebbe accompagnato per i suoi giorni sull’acqua e sulla terra.

C’è da chiedersi quanto sia insondabile la distanza fra reale e virtuale. Quanti ragazzi hanno visto, in vita loro, un maiale che non sia sotto forma di prosciutto o di salame? Quanti un pollo vivo o una mucca? I più giovani, nella stragrande maggioranza, hanno contatti con gli animali (o meglio, con parti di essi) solo attraverso i banchi del supermercato: è plausibile che crescano con l’idea che non si tratti di creature capaci di soffrire.

Questo forse non accadrebbe se vi fossero percorsi educativi, per ogni ordine e grado di scuola, per far conoscere ai ragazzi la vita degli animali, un po’ come le fattorie urbane del nord Europa, per realizzare un miglior legame tra mondo rurale e urbano e tra campagna e città, binomio sempre più divaricato. O se si moltiplicassero le iniziative degli “orti didattici”, come quello che a maggio a Garlenda ha radunato oltre mille bambini.

Qualche ragazzino, poi, dovrebbe leggere “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach, magari sotto l’ombrellone. Anche qualche adulto potrebbe leggerlo. E’ breve e, tanto per essere in tema di tecnologia applicata alla mobilità, può essere contenuto in uno smartphone. Parla di un gabbiano anticonformista e del suo amore per la libertà di volare.

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