Città perduta

Alla scoperta di Savona: i tesori sepolti dalla fortezza del Priamar

La fortezza del Priamar è uno dei simboli di Savona: la sua imponenza tanto fisica quanto storica nasconde tesori inestimabili

Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta della città di Savona (leggi il primo articolo).

La fortezza del Priamar, come tutti sanno, rappresenta uno dei simboli più illustri di Savona. A testimoniarlo l’imponenza fisica, culturale e storica che il monumento non esita a imporre sulla città con la sua ombra per molti aspetti austera. La sua presenza, tanto ostentata quanto silente, tuttavia, dimostra, oltre il suo voler affermarsi come potenza immortale, il bisogno quasi vitale di strappare il velo di mistero che ancora oggi lo avvolge e lo opacizza.

A percepire la necessità di portare alla luce le verità che nasconde la famosa costruzione bellica sono stati diversi studiosi dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, dell’Università degli Studi di Genova e della Soprintendenza Archeologica della Liguria, i quali hanno avviato vere e proprie ricerche al fine di analizzare e scoprire cosa raccontino i reperti archeologici posti nelle vicinanze della fortezza.

Fino ad oggi, si può affermare con certezza che la costruzione presa in esame ha dovuto sacrificare la Cattedrale di Santa Maria Assunta, l’intera Savona monumentale, con i suoi ospedali, i suoi luoghi di culto e i suoi palazzi, se non distrutto la Chiesa di San Domenico il Vecchio, i cui resti sono visibili nella parte antecedente il Priamar.

Come dimostrano il complesso di fonti, testimonianze e ricerche compiute, la Chiesa di Santa Maria Assunta risaliva al IX secolo ed era situata sulla collina dove ora regna indisturbato il colosso bellico. In vista del progetto della fortificazione, che da lì a poco sarebbe stata eretta per merito dei Genovesi, la cattedrale venne demolita e ricostruita poi nel centro di Savona, diventando l’ormai ultimato Duomo.

Le stesse sorti sono costate al complesso domenicano di prim’ordine, costruito tra 1288 e 1306, comprendente di biblioteca, giardino, dormitori, chiostri e la vera e propria chiesa di San Domenico il Vecchio. I resti del convento che si possono notare ora ai piedi del Priamar sono davvero pochi, ma gli archeologici impegnati nel riportare alla luce il vecchio monumento hanno realizzato una simulazione digitale di tale costruzione, come potete vedere in foto.

In origine, i genovesi – per accontentare i savonesi – avevano promesso che avrebbero mantenuto il resto del convento, abbattendo solo il grande campanile della chiesa che rappresentava un vero elemento d’intralcio per il Priamar, ma effettivamente ogni impegno non venne rispettato, e oggigiorno, ciò che ne è rimasto sono solo il basamento, i resti di alcune mura e colonne in pietra, due capitelli, poche tracce di gradini e altari.

Ciò che è pervenuto a noi – bisogna dire – è di fondamentale importanza, nonostante non risolva del tutto il problema di trovare la vera e fedele strutturazione dell’intero convento. Per quanto riguarda la conformità degli alzati e delle sezioni, ad esempio, gli archeologi si possono limitare solamente ad avanzare ipotesi discutibili e non sicure, lasciando a libera interpretazione ogni dato osservabile. Gli unici elementi su cui si possono formulare teorie precise riguardano alcune caratteristiche architettoniche tipiche dell’intransigente regolamento costruttivo delle chiese domenicane, riguardante il numero di navate, la struttura interna della chiesa, la posizione delle cappelle e le file del colonnato.

Ad oggi finalmente, tutte queste caratteristiche e i vari anni di studio hanno permesso agli archeologi di elaborare teorie sempre più affidabili, in grado di donare alla semplice pianta ritrovata della Chiesa di San Domenico, maggiori certezze e ornamenti, fino a realizzare una fedele rappresentazione della stessa, e offrire ai savonesi una realtà che non deve essere celata.

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