Nel weekend al NuovoFilmStudio di Savona: “Un affare di famiglia” (Manbiki kazoku – Shoplifters)

Nel week-end cinema 1a visione al NuovoFilmStudio di Savona:  Un affare di famiglia (Manbiki kazoku - Shoplifters)

NuovoFilmStudio/Officine Solimano/Piano terreno
Piazza Rebagliati, Savona
Circolo ARCI

Un affare di famiglia (Manbiki kazoku – Shoplifters) di Hirokazu Kore’eda, con Lily Franky, Sakura Andô, Mayu Matsuoka – Giappone 2018, 121’

Palma d’Oro al Festival di Cannes 2018.

ven 05 ottobre (18.00 – 21.15)
sab 06 ottobre (17.30 – 20.15 – 22.30)
dom 07 ottobre (15.30 – 17.45 – 20.15 – 22.30)
lun 08 ottobre (15.30 – 18.00 – 20.30)

Dopo uno dei loro furti, Osamu e suo figlio si imbattono in una ragazzina in mezzo a un freddo glaciale. Dapprima riluttante ad accoglierla, la moglie di Osamu acconsente a occuparsi di lei dopo aver appreso le difficoltà che la aspettano. Benché la famiglia sia così povera da riuscire a malapena a sopravvivere commettendo piccoli reati, sembrano vivere felici insieme finché un incidente imprevisto porta alla luce segreti nascosti che mettono alla prova i legami che li uniscono…

Kore-eda, fedele alla storia della sua filmografia incentrata intorno al concetto basilare di famiglia, ci offre una nuova riflessione sul tema con un taglio più marcatamente sociale. Così i protagonisti del film sono ladruncoli seriali che ammortizzano la scarsa capacità economica concessa loro da lavori usuranti e mal retribuiti, rubando nei supermercati e nei negozi, ma il vero centro nevralgico del discorso rimane il loro voler essere a tutti i costi una famiglia. Esserlo per patire insieme e ridere insieme, per andare avanti in quella metropoli che tutto schiaccia, la Tokyo dei vestiti alla moda e delle auto di lusso.

Una famiglia composta un po’ dal caso e un po’ dall’azzardo. Proprio quegli stessi elementi che, dopotutto, conducono nella casetta vecchia e sporca in cui vive anche la piccola bambina di cinque anni che ribattezzano Rin. Un nucleo che si è composto tutto così, senza quasi nessun legame di sangue. Una famiglia per scelta. Il rapporto tra i due protagonisti – Osamu e Hatsue – è carico di una dolcezza espressa a tratti in maniera nascosta a tratti con impeti di passione; il loro modo di crescere i figli è dominato da un amore naturale, istintivo, del tutto sgravato degli obblighi della discendenza. Questa riflessione più delicata si scontra con la dura realtà quando si rompe il vaso di Pandora e, poco a poco, inizia a frantumarsi l’intero idillio artificiale che erano riusciti ad edificare. Perché esiste una società fuori dalla famiglia.

Una società di cui quest’ultima non fa parte se non in modo laterale. Una società ferale e crudele che non può accettare l’eccezione. Il conflitto tra legge morale e legge sociale trasforma i toni quasi da commedia della rappresentazione della famiglia fittizia in un dramma colorato di nero, che colpisce come una sferzata, dopo aver aperto il cuore al sentimento.

“I figli devono crescere con le mamme” asserisce l’assistente sociale, così nel paradosso di aver tolto una bambina a due genitori amorosi solo perché finti per restituirla ai legittimi padre e madre che la picchiano e la snobbano, risiede il culmine tragico di un film che racconta una società impossibile da redimere, e incapace di scorgere l’umano al di là del legale. Se c’è felicità è solo nell’instabilità effimera, come i fuochi d’artificio che illuminano una notte su Tokyo. Per il resto si può tornare alla vita di tutti i giorni, con la piccola Rin abbandonata di nuovo a se stessa mentre sogna di avere di nuovo una famiglia.

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