“Stile Savonese” è la rubrica di moda, bellezza e lifestyle di IVG, a cura di Maria Gramaglia. Ogni settimana una passeggiata tra le vetrine dei negozi della nostra provincia, a caccia di novità: un “viaggio” tra le tendenze savonesi a livello di moda, bellezza o arredamento, ma anche tra proposte come gite, corsi o spettacoli a teatro.
Il 17 luglio 1947 “Il Corriere d’informazione”, quotidiano del pomeriggio di Milano, usciva con un titolo struggente “Sono arrivate le mamma dei 43 fratellini della morte”.
L’articolo, a firma di Dino Buzzati, riportava queste tristissime parole
«Mentre si affollavano di bambini le corsie dell’ospedale di Albenga, sulle acque cominciavano le ricerche della speranza. Piccoli corpi inanimati venivano tratti uno ad uno dalle placide acque e via via erano trasportati nell’ambulatorio della Croce Bianca. Prima delle 23, il ricupero era finito. Intanto, le mamme si addormentavano tristemente, dopo la preghiera per il loro bambino lontano.»
Si trattava della “Tragedia di Albenga” o “Tragedia dell’Annamaria”.
Tutti ad Albenga conoscono questa terribile pagina di storia del dopoguerra della città, ci sono ancora molte persone che la ricordano e che non potranno mai dimenticarla.
Sull’onda della testimonianza portata da Max Pezzali la settimana scorsa, ho pensato di raccontarla, perché non tutti la conoscono, soprattutto i più giovani.
Durante lo spettacolo di Ottobre De Andrè, Max Pezzali ci ha raccontato di essere molto legato alla città di Albenga, perché suo papà è un sopravvissuto di quella tragedia.
Si salvarono 38 bambini. Il papà di Max Pezzali fu uno dei fortunati ad essere portato in salvo.
Era il pomeriggio del 16 luglio 1947. Da Loano salpò la motobarca Annamaria con 81 bambini, tutti maschi di età compresa tra i 4 e gli 8 anni, e alcune educatrici.
Erano diretti all’Isola Gallinara. La stessa gita era stata fatta al mattino dalle bambine.
Quanta felicità nelle voci di quei piccoli! Erano tutti ospiti della Colonia della Solidarietà di Loano, istituita a favore dei reduci e dei partigiani. Provenivano da Milano e da Verona.
Transitarono davanti a Borghetto Santo Spirito, Ceriale fino ad arrivare, intorno alle 18, davanti alla cosa di Albenga, in Regione Burrone.
Da lì si vedeva già molto bene l’Isola Gallinara e i bambini erano felici, intonavano canzoncine con le loro vocine gioiose.
Dalla riva, alcuni ragazzi che si attardavano sulla spiaggia, attirati dalle loro vocine, si alzarono per andare a fare un cenno di saluto a quelle testoline con i cappellini bianchi.
“Ehi ciao bambiniiii!” gridarono con voce festosa i ragazzi sulla riva e i bambini ridevano e cantavano in coro per la bella esperienza della gita in barca. Era solo dieci metri di barca, ma per loro era come una nave da crociera.
La barca distava circa cento metri dalla riva ed era visibilmente sovraccarica. Stentava ad emergere dall’acqua.
I piccoli, sentendo i saluti dei giovani sulla spiaggia, fecero appena in tempo a rispondere, quando un rumore squarciò la festa. E la vita, per alcuni. La barca fece un accenno di impennata e poi ricadde su se stessa.
Il terrore in meno di un istante prese il posto della felicità e della spensieratezza. I piccoli cominciarono a buttarsi a grappoli o a cadere in acqua. Nessuno di loro sapeva nuotare.
Giorgio, Ettore, Luigi e Domenico sulla riva erano increduli. Spensero il sorriso e d’istinto, senza esitazioni, si buttarono in acqua.
La barca aveva urtato violentemente un palo che sosteneva lo scarico delle fogne cittadine, che sporgeva a pelo dell’acqua.
Il natante imbarcò subito acqua e in poco tempo affondò.
I ragazzi, con tutta la forza che avevano in corpo, raggiunsero il relitto e immediatamente i piccoli ancora in vita si aggrapparono a loro in cinque, sei per volta.
“Ma come faccio? Non posso riuscire a portarne in salvo così tanti in una volta sola.
Ehi piccolini, ne porto uno per volta, va bene? Torno subito. Vuoi aspettatemi qui, ma muovetevi, non state fermi! Muovetevi e io in poco tempo arrivo e vi porto tutti sulla riva.
Chi prendo per primo? Già … Chi prendo per primo? E se è l’unico che riesco a salvare? E se non ho più forze per tornare indietro? Come faccio? Ce la devo fare!”
Cominciò così per i quattro giovani un estenuante e valoroso salvataggio, fatto di viaggi avanti e indietro per portare più bambini possibile in salvo sulla riva.
Nel frattempo le voci della tragedia in corso arrivarono alle vie cittadine e ognuno interruppe la propria attività per correre al mare e soccorrere i piccoli.
Albenga rispose alla tragedia aprendo il cuore e tutti si prodigarono come poterono per contribuire al salvataggio.
Dopo i quattro ragazzi, altri si tuffarono per raggiungere i bambini. Anche le ambulanze della Croce Bianca e gli automezzi dei Vigili del fuoco arrivarono sulla riva per portare il loro contributo.
Si salvarono 38 bambini. Per gli altri 43 e 3 educatrici, non ci fu nulla da fare.
“Erano là, ritti, vicini vicini, tutti stipati sul barcone solo un momento prima; tanti berrettini bianchi che cantavano felici, e ora, sott’acqua, aprivo gli occhi e vedevo quegli stessi berrettini bianchi, a grappoli, adagiati, che punteggiavano il fondale marino, avvinti l’uno all’altro, oppure alle vesti della loro assistente, in un ultimo disperato tentativo di salvezza… Non dimenticherò più”. (dal sito crocebianca.it)
Sulla spiaggia in Regione Burrone, proprio davanti al tratto di mare in cui si consumò la tragedia, oggi c’è un monumento a ricordo di una tristissima pagina di storia italiana e della grande e calorosa partecipazione degli albenganesi.
Questa triste storia mi fu raccontata molti anni fa da uno degli eroici soccorritori, che oggi purtroppo non c’è più e che ricordo con affetto.
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