Polemica infinita

“Camicie nere” sulla lapide per i caduti, le reazioni di Cgil, Anpi e la riflessione di Franco Astengo

Non si placa la pioggia di critiche per la scelta: "Non è accettabile l'equiparazione ai corpi militari"

lapide camicie nere

Savona. Non si placano le polemiche intorno alla lapide in memoria dei caduti delle Forze Armate. Nelle ultime ore continuano a registrarsi reazioni (soprattutto critiche) sulla scelta di inserire anche le “camicie nere” nella lista e, le ultime, sono quelle della Cgil di Savona, dell’Anpi di Genova e di Franco Astengo che pubblichiamo integralmente di seguito.

Cgil Savona

La Camera del Lavoro di Savona giudica vergognosi i fatti accaduti sabato mattina presso il cimitero di Zinola a Savona.

Non è accettabile l’equiparazione delle Camicie Nere ai corpi militari e delle forze armate regolari. Non è accettabile in generale, ancor più in una città medaglia d’oro al valore militare per la resistenza come Savona. Le Istituzioni locali e il Sindaco di Savona hanno l’obbligo istituzionale di effettuare nel più breve tempo possibile la rimozione del richiamo alle Camice Nere dalla lapide in oggetto.

È necessario ribadire con forza i valori della nostra Carta Costituzionale

Anpi Genova e Savona

Il caso della stele in cui vengono ricordate le “camicie nere” alla pari di alpini, carabinieri, e altri corpi militari impegnati nel conflitto è una fine alchimia per riabilitare chi fu l’artefice del disastro etico e umano della seconda guerra mondiale.
La M.V.S.N. (milizia volontaria per la sicurezza dello stato) era strutturata su base volontaria e territoriale, formata da iscritti al Partito Nazionale Fascista e giurava fedeltà a Mussolini.

La M.V.S.N. pertanto è organica al fascismo in tutto e per tutto anche se verrà aggregata ai ranghi dell’esercito è ben lontana da quei valori che seppero esprimere le migliaia di caduti a Cefalonia, solo per citare il caso più conosciuto o i quarantacinquemila morti nei campi di concentramento per non asservirsi ai nazisti.

La stessa lapide che genericamente viene dedicata a “tutti I caduti” della seconda guerra mondiale è offensiva per chi, come I carabinieri pagarono un pesante contributo di sangue al regime fascista come I 12 uccisi alle fosse Ardeatine o i 3 martiri di Fiesole.
Chi fu il braccio armato di un regime cialtrone e populista (spezzerem le reni ai greci) non può avere lo stesso riconoscimento di chi pagò il prezzo del suo “dovere”

La lapide può contenere solo la memoria e il riconoscimento per i caduti e dispersi nella guerra contro il nazifascismo. Di tutto questo devono essere consapevoli quelle autorità che hanno presenziato alla cerimonia ed allo scoprimento della lapide; a maggior ragione se, come dichiarato, non erano precedentemente a conoscenza dell’ignobile riconoscimento dato agli sgherri di Mussolini  devono  agire conseguentemente, ed imporre la cancellazione della scritta “Camicie Nere”.

La Città di Savona, Medaglia d’Oro al Valor Militare per la Resistenza, non può subire ulteriori offese alla sua storia, e chi la rappresenta nelle Istituzioni dello Stato ha il dovere di impedire e sanzionare l’offesa

Franco Astengo

Savona ha vissuto giornate di vero e proprio dispregio della memoria di un Città medaglia d’oro della Resistenza, la cui ricorrenza quarantennale è stata tra l’altro bellamente ignorata dall’Amministrazione Comunale di destra.

Sabato scorso è accaduto un fatto grave, al limite dell’indicibile: la Signora Sindaco e il Signor Prefetto hanno candidamente assistito senza battere ciglio a una cerimonia svoltasi nel cimitero cittadino di Zinola per lo scoprimento di una lapide in memoria dei soldati savonesi caduti nel corso della seconda guerra mondiale: da un lato della lapide sono indicati i corpi combattenti da onorare nella memoria e tra gli alpini, gli artiglieri, i fanti, hanno trovato inopinatamente posto le “camicie nere”.

Signora Sindaco e Signor Prefetto rimasti imperterriti al loro posto durante la cerimonia, nonostante che visti i contenuti della lapide i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza se ne fossero immediatamente allontanati.

Alla reazione delle associazioni e delle forze politiche democratiche e antifasciste la risposta della Signora Sindaco è stata di “non conoscenza dei contenuti della lapide” e, per il futuro, della necessità di confrontarsi con l’associazione che ha promosso la lapide (una non meglio identificata Associazione “Caduti senza croce”).

Potrà apparire superfluo ma invece è assolutamente necessario chiarire un punto preliminare: anche perché, da parte dei rappresentanti dell’Associazione in questione si sostiene la piena integrazione, all’epoca, delle Camicie Nere nell’esercito regolare. Integrazione da cui deriverebbe di conseguenza la loro assimilazione ,anche nel ricordo,ai reparti combattenti.

Va ricordato con grande chiarezza e disegno di verità storica che la Camicia Nera è stata la divisa del fascismo e che il fascismo rimane la più grande disgrazia capitata al nostro Paese nella sua storia.

La Camicia Nera fu adottata quasi subito dal fascismo come suo emblema, del resto il nero era considerato come il colore della morte e la bandiera degli Arditi lo accompagnava con il teschio con il pugnale tra i denti.

La camicia nera fu adottata da Italo Balbo fin dalla marcia su Ravenna e poi, naturalmente, nella marcia su Roma.

Gli squadristi che nel biennio 1920 – 1922 avevano insanguinato il Paese uccidendo, devastando, incendiando e rappresentando la leva attraverso la quale il fascismo aveva raggiunto il potere. Attraverso lo squadrismo delle Camicie nere, gli agrari e gli industriali erano riusciti a piegare la resistenza dei contadini e gli operai.

Gli squadristi in Camicia Nera furono poi inquadrati nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale: un corpo armato parallelo a quelli dello Stato posto al servizio di una parte politica, così come il “Gran Consiglio del Fascismo” rappresentò un organo parallelo a quelli istituzionali previsti dallo Statuto.

Tutto questo avvenne molto prima del varo delle leggi cosiddette “fascistissime” (1925) attraverso le quali il fascismo assunse compiutamente le vesti di una dittatura.

In questo modo le Camicie Nere parteciparono, inquadrate nell’esercito, alle guerre fasciste in Etiopia, in Spagna per combattere la Repubblica democraticamente eletta, nella Seconda Guerra Mondiale.

Fin qui tutto ovvio: deve essere però ribadito ancora una volta che la Seconda Guerra Mondiale non può che essere considerata, per quello che riguarda l’Italia, come una guerra fascista combattuta (fino alla fine per quel che riguarda le truppe della RSI, anch’esse provviste di camicia nera) al fianco del mostro più sanguinario che il mondo abbia mai espresso: il nazismo.

E’ bene tenere queste distinzioni, non farci travolgere dal “alla fine tutti eguali”.

L’Italia ha ritrovato, il 25 aprile 1945, la propria capacità di governarsi e amministrarsi autonomamente e non come colonia degli Alleati soltanto grazie alla Resistenza che ne ha riscattato l’onore e la presenza nel mondo.

La Resistenza ha rappresentato l’atto fondativo del nostro Paese dopo il Risorgimento e dopo che la Casa Regnante aveva trascinato l’Italia in due insensate e tragiche guerre mondiali.

Accanto alla Resistenza, naturalmente, vanno ricordate le sofferenze delle popolazioni civili,i 600.000 militari italiani abbandonati dalla fellonia dell’8 settembre all’estero e internati in Germania essendosi rifiutati di aderire alla Repubblica Sociale, i combattenti dell’esercito schieratisi a fianco degli Alleati nel corso della loro faticosa risalita delle penisola.

Faticosa risalita della penisola al punto che, è bene ricordarlo ancora, le grandi città del Nord furono liberate dai Partigiani in anticipo sull’arrivo delle truppe anglo –americane.

Questo riassunto , forse inutile ma non è detto che lo sia stato, per dire che le “Camicie Nere” sono state il simbolo del fascismo e che questo fatto non può essere dimenticato o deviato nella costruzione di una memoria storica che deve essere continuamente alimentata per non restare colpevolmente smarrita.

Si ricorda ancora che Savona è la città di Sandro Pertini, senza aggiunte o richiami a un nome che da solo spicca nel firmamento della parte migliore della storia di questa Nazione.

La città distrutta dai bombardamenti fu poi ricostruita grazie all’operato di una giunta formata in buona parte da operai delle sue grandi fabbriche, l’Ilva e la Scarpa e Magnano, rappresentanti dei grandi partiti di massa della sinistra italiana.

Una città ricostruita dalle macerie della guerra in un periodo di grande lotta per la difesa delle sue fabbriche, la cui presenza – nel corso di quei drammatici anni ’40 – ’50 – era stata messa in discussione a causa della riconversione dell’industria bellica portata avanti dal governo democristiano che certo non nutriva grande simpatia per la classe operaia “rossa” della nostra Città.

Quella classe operaia che l’aveva liberata dalla tirannia del fascismo in Camicia Nera.

Daniela Pongiglione (Noi per Savona)

Non stiamo parlando di Balilla o di Figli della Lupa, ma di adulti che, coscientemente, hanno preso parte alle strategie del regime e che hanno, anche qui a Savona, messo in atto violenze di ogni tipo. No, non accettiamo la presenza di queste “camicie nere” nella lapide che ricorda i Soldati senza croce della Seconda guerra mondiale, a due passi dal Sacrario dei giovani Partigiani, uccisi, torturati, alcuni crocifissi proprio dalle camicie nere qui a Savona.

E’ indispensabile che si mobilitino  tutti i Cittadini, gli intellettuali, gli studenti, i lavoratori, per la conservazione della Memoria. Troppi episodi negli ultimi tempi sono il segnale del profondo cambiamento culturale in atto, ma noi non ci stiamo: dobbiamo difendere i valori della nostra Democrazia, della Costituzione, dello Stato Repubblicano.
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