In carcere

Scena muta dal gip dei bengalesi arrestati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ad Alassio fotogallery

Secondo l'accusa i connazionali pagavano seimila euro per venire in Italia, ma poi venivano costretti a lavorare per uno degli arrestati e a vivere in alloggi-topaie

Alassio. Hanno scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere tutti e sei i cittadini bengalesi finiti in manette mercoledì mattina nell’ambito di un’indagine dei carabinieri della compagnia di Alassio su un presunto giro di sfruttamento dell’immigrazione clandestina in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Gli arrestati sono stati interrogati per rogatoria dal gip del tribunale di Imperia, ma hanno preferito non dare nessuna spiegazione rispetto alle contestazioni mosse dagli inquirenti. In carcere sono finiti Reza Karim, 34 anni (avvocato Andrea Guido), considerato la “mente” dell’organizzazione, Sajib Miah, di 23 (avvocato Andrea Geddo), Mohamed Santo, di 18 (avvocato Luigi Gallareto), Hasan Mehadi, di 23 (avvocato Tiziano Gandolfo), Asim Matubbar, di 25 (avvocato Gianluca Gandalini), e Shidul Matubber, di 23 (avvocato Tiziano Gandolfo).

Tutti devono rispondere, in concorso e a vario titolo, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, estorsione continuata, possesso ingiustificato di armi (ovvero coltelli, bastoni ed altre armi improprie usate per le spedizioni punitive contro i connazionali) e calunnia (visto che per “giustificare” le aggressioni ai connazionali non avevano esitato a rivolgersi ai carabinieri accusando le vittime di averli rapinati costringendoli a difendersi).

Secondo l’accusa, Reza Karim, supportato dai suoi “gregari”, faceva arrivare in Italia (attraverso i barconi che partono dalla Libia) dei connazionali dal Bangladesh dietro il pagamento di seimila euro. Una volta arrivati sulle coste italiane, i migranti ottenevano un permesso di soggiorno per motivi umanitari ed arrivavano ad Alassio. Qui, anziché iniziare una nuova vita, si ritrovano infatti tenuti in scacco dal gruppo di sei connazionali che li obbligava – sotto minaccia ma anche arrivando ad organizzare raid punitivi – a pagare affitti elevatissimi per un posto letto ed a lavorare nella loro rete di attività commerciali nella città del Muretto.

Nel blitz scattato l’altra mattina ad Alassio gli uomini dell’Arma hanno perquisito anche due alloggi, uno in via Sollai 21 e l’altro in via Bavera, dove i bengalesi erano costretti a vivere in condizioni precarie (c’erano anche più di 12 persone ad appartamento), pagando più di 300 euro per un posto letto. Nelle due abitazioni sono stati identificati una ventina di stranieri di cui soltanto uno non in regola con il permesso di soggiorno.

Secondo quanto accertato dai militari, quando uno dei cittadini bengalesi tentava sottrarsi al controllo di Reza Karim scattavano prima degli ammonimenti e, nel caso in cui il suo atteggiamento non cambiasse, telefonate minatorie ai parenti in Bangladesh fino ad arrivare a veri e propri raid punitivi. Il più grave si è registrato ad agosto, vicino alla stazione di Alassio, quando un bengalese è stato aggredito a colpi di catena dai connazionali e ferito gravemente. Episodi allarmanti che hanno convinto gli inquirenti della necessità di intervenire più in fretta possibile per fermare l’escalation di violenza.

Operazione contro l'immigrazione clandestina

Per giustificare le violenze, il capo dei bengalesi, musulmano, in alcuni casi ha fatto anche credere ai parenti delle vittime di essere stato costretto ad avere atteggiamenti “forti” perché i congiunti avevano cambiato fede diventando induisti.

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