Calcio

Elio Giulivi: il burbero dal cuore generoso

Lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia

Elio Giulivi

All’età di 85 anni se ne è andato per sempre Elio Giulivi, un grande personaggio sportivo che era stato presidente della Lega Nazionale Dilettanti della Federcalcio per undici anni, dal 1987 al 1998, prima dell’avvento di Carlo Tavecchio.

Giulivi è deceduto all’ospedale di Terni dove era stato ricoverato a fine marzo a seguito delle gravi ferite riportare in un incidente stradale avvenuto nei pressi di Capitone, il paese dove era nato e dove viveva con la famiglia. Elio era stato anche per molti anni il direttore dell’Elettrocarbonium prima della grave crisi che ha coinvolto lo stabilimento di Narni, creando una squadra di calcio con lo stesso nome che arrivò a disputare i massimi campionati dilettantistici e che è tra le più importanti società dilettantistiche dell’Umbria.

Con lui alla guida della Lnd si ricorda soprattutto l’imposizione dei limiti di età nei campionati dilettantistici, che vige tuttora. La presidenza Giulivi segnò infatti una serie di novità: aumentarono le squadre iscritte nel campionato interregionale, fu incrementato il limite di età degli under 18 e fu istituito un vincolo biennale per i ragazzi dai 12 ai 14 anni.

Dal 1992 Giulivi promosse una serie di modifiche regolamentari, l’informatizzazione dei comitati e il censimento degli impianti sportivi. Il Presidente Cosimo Sibilia, il Consiglio Direttivo e tutti gli organismi centrali e territoriali della L.N.D. hanno espresso profondo cordoglio per la sua morte. La F.I.G.C ha autorizzato un minuto di raccoglimento prima dell’inizio delle gare dell’attività dilettantistica in programma in questo fine settimana.

Avendo avuto l’opportunità di conoscerlo direttamente voglio parlarvi di lui, di chi era veramente e di come ha dimostrato coraggio e determinazione nell’affrontare le inevitabili pene che il destino gli ha riservato. Mi riferisco ad una sentenza infamante che ci riporta indietro negli anni, alla fine dei ’90 quando il narnese era, ufficialmente, uno dei numeri uno del calcio italiano.

La sentenza, di appello, è quella che fu emessa dalla terza sezione centrale d’appello della Corte dei Conti, legata ad un fatto avvenuto il 1° giugno del 1997. Ecco i dettagli. Allo stadio di Rieti si giocava la sfida di serie D fra i padroni di casa e il Pomezia. Partita dal valore modesto se si eccettua un particolare: figurava fra quelle inserite nella schedina del Totogol, gioco in cui vinceva chi indovina le partite dove si segnava di più.

La gara, tuttavia, non si dimostrò tra le più tranquille tanto che, uno dopo l’altro, l’arbitro Salvatore Marrazzo di Salerno dovette espellere ben cinque giocatori del Pomezia. In base al regolamento la partita avrebbe dovuto finire lì con sconfitta a tavolino del Pomezia (e, per convenzione, risultato di 2-2 sul Totogol). Invece i pochi minuti che restavano vennero tutti giocati e la gara andò in archivio con l’1-0 finale in favore del Rieti. Un referto ‘galeotto’.

A quel punto, invece di fermare tutto e dire «Scusate, ci siamo sbagliati», l’errore cominciò a produrre i suoi effetti a catena: la gara venne ufficialmente inserita in schedina con il punteggio di 1-0 (anziché 2-2) e l’arbitro – dietro pressioni ‘federali’ (si diceva) – modificò il referto di gara per renderlo regolare, nel tentativo di evitare spiacevoli intoppi e dietrofront.

Troppo tardi: 13 agenti di polizia di Nettuno scoprirono di avere giocato la schedina vincente, quella con il 2-2 ‘d’ufficio’, e reclamarono il premio di quasi 300 milioni delle vecchie lire. Premio che però era già assegnato ad un altro concorrente sulla base del risultato ‘fasullo’. Scoppiò il putiferio con tanto di denunce. Quasi due anni dopo, nel 1999, il Coni si vide costretto a pagare il premio a entrambi i vincitori. La giustizia, nel frattempo, si era già attivata su tutti i diversi fronti: sportivo, penale – il procedimento si concluse nel 2007 con l’archiviazione per prescrizione – e contabile.

Nel 2011 la Corte dei Conti della Campania condannò i tre presunti protagonisti del fattaccio – l’ex ‘dominus’ della Lega Elio Giulivi, l’ex responsabile degli arbitri Can D (ed ex arbitro internazionale) Pietro D’Elia e l’arbitro della gara Marrazzo – a versare un risarcimento di 407 mila euro al Coni, e quindi allo Stato. Per Giulivi però arrivò l’assoluzione piena: a pagare 270 mila euro in solido, furono D’Elia e Marrazzo. La vicenda però portò all’inchiesta anche da parte della Federcalcio che spazzò via addirittura il presidentissimo Elio Giulivi padre-padrone di quel “giocattolo”, così lo chiamava lui, da dieci anni.

Siamo tutti consapevoli che fosse esuberante e travolgente, amico di politici e dirigenti sportivi, e pertanto capace di muovere tanti soldi, fare assumere decine di persone, forse troppo disinvolto nell’elargire regali come telefonini ed elettrodomestici e nel dispensare voti.  Decisivo ad esempio fu il suo adoperarsi per l’elezione di Nizzola al vertice della Figc. Il suo deferimento  fu esemplare perchè era  la prima volta che succedeva a un presidente di Lega. Giulivi venne giudicato dalla Corte Federale, presieduta da Andrea Manzella che minacciò di sospenderlo in via cautelare, a meno che non fosse lui a farsi prima da parte. “Non rimarrò più in questo ambiente, sono veramente schifato” disse Giulivi, ma non si arrese però.

“Fu una congiura, una montatura: ormai ero diventato un personaggio troppo scomodo” disse recentemente quando giunse la piena assoluzione per lui e per una trentina di componenti del consiglio direttivo e della giunta esecutiva in carica tra il 1988 e il 1992, accusati (e ci risiamo) di peculato. A deciderlo fu in questo caso la quarta sezione del Tribunale penale di Roma, che considerò gli imputati non come pubblici ufficiali. La pubblica accusa, rappresentata dal pubblico ministero Gloria Attanasio, aveva sollecitato una condanna in relazione alla gestione amministrativa della Lega, con l’accusa di peculato, per essersi appropriati di oltre un miliardo di vecchie lire, impegnate in particolare per acquisti di regali e per inviti a cene.

Giulivi e Maurizio Foroni, membro del consiglio direttivo della Lega dilettanti, erano anche accusati di appropriazione indebita aggravata di denaro della Lega (oltre 200 milioni di lire), ma nei confronti di questa seconda accusa, era ormai intervenuta la prescrizione. Nessuna sentenza quindi è mai stata in grado di incolparlo.

Certamente Giulivi aveva un carattere forte ma questa non può essere una discriminante. Quando qualcuno provava a contraddirlo, aveva la sua efficace battuta sempre pronta: «Ho solo da masticare il ferro, io». Come a far intendere che per lui l’esperienza era tutto, per non temere nulla. Il “commendatore” (così veniva chiamato) del resto la sapeva lunga.

Era nato in una modesta famiglia di Montoro, che l’aveva voluto ragioniere. Ma c’erano la stoffa e la voglia di non accontentarsi, così la scalata l’ha visto prendere la laurea per poi diventare ben presto leader d’azienda e arguto dirigente nel calcio. Chi come me l’ha conosciuto ne ricorda i tratti di persona schietta e franca. Appariva burbero, senza peli sulla lingua, e con un cuore generoso con cui ha premiato quanti hanno collaborato con lui. Io tra quelli. Ciao Presidente!

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