Lettera al direttore

Lettera

16 marzo 1978, perchè i giovani possano comprendere cosa erano gli anni di piombo

aldo moro

Quando si avvicina il 16 marzo, si apprestano giornate di tristezza anche nella mia famiglia, nel ricordo dell’agguato in Via Fani del 1978, noi che a quel tempo vivevamo nel quartiere Boccea, adiacente al quartiere “Trionfale”, dove fu decimata la scorta di Aldo Moro, presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, rapito e successivamente assassinato dalle Brigate Rosse il 9 maggio. Riviviamo ogni anno quegli avvenimenti in tv, che un tempo erano il quotidiano vivere di ansia, apprensione, terrore, in cui mio padre, un tempo di servizio radiomobile nella Caserma Podgora, che già fece d’autista non solo ad Aldo Moro, ma anche al Generale Dalla Chiesa, Giulio Andreotti ed altre personalità civili, politici e militari, ribadisce puntuale la sua frase: “Potevo esserci io… sono un miracolato…” (al posto di Domenico Ricci).

Lui che dapprima prestava servizio a cavallo alla caserma Pastrengo, accanto al capitano dei Carabinieri campione olimpionico Raimondo D’Inzeo, amico di famiglia, seguendolo con onore lungo un percorso di vittorie equestri in Europa, negli ultimi 15 anni di carabiniere, venendo a mancare mia sorella in tenera età per malattia, scelse di rimanere accanto alla famiglia in Roma passando al servizio di radiomobile, purtroppo in quei terribili anni di piombo.

Chi non li ha vissuti come carabiniere, poliziotto, ed altre forze dell’ordine e rispettivi familiari, in metropoli come Roma, forse non può comprendere, che ancor oggi ricorrono gli incubi notturni degli inseguimenti armati in divisa ad alta velocità, alternati ad insonnia, dovuti a molteplici volte in cui il terrorismo e la delinquenza di partiti estremisti imperavano e minavano l’incolumità delle “divise” e dei civili inermi.

Era notizia giornaliera di un rapimento, una strage, una bomba, un attentato, un ferimento, un assassinio, una rapina,… il tutto in nome di un estremismo politico che prepotentemente minava la folla e le istituzioni, e per fortuna combattuto e sconfitto col passare degli anni.
Ricordo personalmente che una volta ci spararono alle tapparelle di casa, proprio in corrispondenza della camera da letto, e mio padre soleva dormire con la pistola accanto al cuscino per difendere la famiglia se occorreva, dato che ci avevano per intimidazione anche rubato le gomme dalla macchina nel cortile sotto il palazzo e sostituite da mattoni, e per un certo periodo, quindi, andavo a scuola accompagnata da mia madre e una persona dell’ordine “in borghese”.

Questa era la vita romana di un carabiniere e suoi familiari, che dovevano vivere in quei terribili anni ’70, e soprattutto in quei 55 giorni di prigionia della grande e stimata personalità di Aldo Moro, in cui il servizio era raddoppiato, e per vedere mio padre dovevo scendere all’alba per salutarlo giornalmente.

Era un rito per me costante, inconsapevolmente e psicologicamente necessario, l’appuntamento alle 6:00 del mattino circa, e mio padre sorridendo mi sporgeva un boccone di pane zuccherato intinto nel caffellatte: chissà se ogni mattina poteva essere il nostro ultimo incontro.
Ebbi anche la sfortuna di vederlo per prima ritornare a casa un giorno tutto incerottato in viso, appena operato con tagli ed ematomi evidenti, scampato da un annegamento nel fiume Aniene dopo un inseguimento di un malvivente con l’alfetta di pattuglia: una visione terribile per una bambina, anche se già preparata alla sofferenza e morte con la dipartita prematura della sorella per malattia, nel 1975, e mio nonno materno anziano e malato in casa da assistere.

Certo che agli occhi dei bambini, tutto viene tenuto nascosto, facendo finta di nulla, da genitori attenti e responsabili, anche quando mia madre rimase tre volte vittima di furti, scherzando persino, nascondendo il pianto e la disperazione, perché la normalità serena del quotidiano vivere non venga scalfita, ma una bambina capisce lo stesso che tutto è diverso aspettandosi anche l’irreparabile.

Mio padre mi racconta sovente, sorridendo a volte, che un ladro da lui arrestato per furto una mattina, se lo ritrovò nel cortile sotto casa nostra la sera, con l’ardire strafottente dell’offerta di un caffè, elogiando se stesso di aver scampato la galera, dopo che era stato arrestato altre due volte in quello stesso giorno, e rilasciato puntualmente ogni volta.

Di certo non c’era la comunicazione mediatica di oggi per evitare simili errori da una caserma all’altra in quartieri che già allora erano vere e proprie cittadine super popolate, ma una certa complicità di avvocati disonesti che sfoggiavano mille cavilli per proteggere i propri pupilli, e avevano anche il piglio arrogante di offendere e stravolgere la realtà, contro i carabinieri che dovevano testimoniare in tribunale durante i processi.

Quando non c’era collaborazione di intenti ed etica nelle istituzioni, come poteva un onesto carabiniere svolgere il proprio lavoro?
Sono questi purtroppo i motivi per i quali è difficile indagare per risolvere i vari casi di delinquenza sia lievi che gravi, ed ancor oggi non se ne venga a capo per disbrogliare la matassa d’omertà e depistaggio avvinghiata accanto all’assassinio della povera cavia, ma indimenticabilmente illustre Aldo Moro, vittima anche della burocrazia politica, non solo della delinquenza.

Si resta anche indignati ed allibiti a scoprire un comportamento indecente e maleducato di irrispettosi frangenti di delinquenza che hanno avuto la sfrontataggine di imbrattare insultando la memoria dei carabinieri della scorta di Moro a 40 anni di distanza.
Sono affronti riprovevoli di gente che, non solo, non ha vissuto i terribili anni di piombo, ma neanche ha avuto l’opportunità e l’intelligenza di apprendere e comprendere l’importanza del ricordo e del rispetto dei Carabinieri che ogni giorno sacrificano la propria vita familiare per lo Stato, rimettendoci anche la vita purtroppo.

Dietro le divise di Carabinieri, Poliziotti, Guardia di Finanza, Forze dell’Ordine,… c’è sempre un cuore che batte e che rischia la vita in continua battaglia contro la delinquenza e il terrorismo, che nei decenni si alternano a minare la serenità della comunità.
Erano tempi quelli in cui già a Roma, se pur miraggio di artisti in cerca di successo e meta di turisti ingordi di memorabile passato artistico e storico, era tangibile l’avvento della droga accanto alle scuole, con mille raccomandazioni di evitare personaggi loschi, offerte di caramelle e dolciumi da estranei, e fa tristezza che nel caos disordinato rumoroso sporco e deteriorato da incuria e delinquenza, in 40 anni non solo nulla è cambiato da allora, ma tutto in ogni frangente sia peggiorato.

La sopravvivenza a quegli angoscianti anni di piombo, anni ’70 memorabili perle solo per i cantautori, per fortuna mio padre l’ha potuto emulare per crescere accanto alla propria famiglia, non solo nel ricordo di una medaglia d’oro in memoria: forte ed indispensabile era la sua fermezza nel voler abbandonare la caotica Roma non appena terminò i 30 anni di carabiniere coincidenti con quelli della fine delle mie medie inferiori scolastiche, per ritornare al paese natio in provincia montana ligure, ben più tranquillo e sereno ed ordinato.

E’ sempre vivo però il ricordo di un certo terrore latente sommesso, inconsapevole, che mi spingeva sempre a chiudere tutti gli sportelli della macchina con la sicura del nostro vecchio Fiat 128 rosso, anche nello sperduto paese montano ligure, in cui tutti si conoscevano e non c’era alcuna paura e nessuna allerta di furto o rapimento 40 anni fa.

Ci ritornammo varie volte a Roma, per ritrovare amici e rivedere i monumenti storici, questa volta con l’occhio spensierato da turisti, anche vittime di ennesimi furti purtroppo, e sempre, senza rimpianti, con la certezza di ritornare a dormire notti tranquille liguri, senza essere svegliati da sirene e trambusti vari in piena notte.

Il 16 marzo è da 40 anni, per la mia famiglia, un triste ricordo correlato da una rassicurante certezza del presente, sempre con la speranza che i giovani possano vivere un futuro migliore di ora, libero dalla malvivenza che cambia nome nei decenni ma conferma sempre macabre finalità.
La speranza è viva e deve essere tutelata da tutti sia civili che militari, perché i tutti i padri di famiglia possano dire un giorno “sono un miracolato” perché nessun evento simile all’agguato di Via Fani, non avvenga mai più in nessun paese del mondo.

Simona Bellone
pres. caARTEiv

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