Tovo San Giacomo. “Non c’è nessuno da combattere, non ci sono né vinti né vincitori, né vittime né carnefici. Qui ci sono solo persone”.
Solitamente per raccontare una storia si parte dal primo capitolo, ma stavolta abbiamo deciso di cominciare dall’ultima riga della lettera che Luana Furfari, 36 anni, residente in via Giorni Santarò 76 a Tovo San Giacomo, ci ha scritto per spiegare come la sua vita sia cambiata negli ultimi tre mesi. Ai lettori più attenti non sarà sfuggito che via Santarò a Tovo è quella finita al centro dell’accesa polemica tra i residenti della zona e il Comune per l’arrivo di un gruppo di quindici migranti. I richiedenti asilo hanno trovato sistemazione proprio nell’alloggio vuoto che si trova proprio sotto l’appartamento di Luana e della sua famiglia.
Una decisione che ha scatenato il caos tra gli abitanti della via che, da subito, si sono divisi tra chi si opponeva fermamente all’arrivo dei migranti e chi, pur non avendo nulla da obiettare sull’accoglienza, sosteneva che la sistemazione non fosse idonea (“perché la palazzina in questione ha problemi di agibilità”). Così, tra una promessa e l’altra dei vicini (“non vi lasceremo soli, vi aiuteremo”), è arrivato il giorno in cui i migranti si sono sistemati al civico 76, a “due rampe di scale” da Luana e i genitori. Una convivenza che, come racconta la stessa tovese, è iniziata all’insegna della paura e della rabbia. Sentimenti che, con il passare delle settimane, però, hanno lasciato spazio a ben altre emozioni.
Per raccontarle pubblichiamo integralmente la lettera che abbiamo ricevuto perché, nessuno meglio di chi l’ha vissuta, può raccontarvi cosa succede se, da un giorno all’altro, i vostri vicini di casa diventano quindici migranti e, in paese, iniziano a chiamarvi “gli amici dei negri”.
PREMESSA “Sono sempre stata una persona razionale e obiettiva, ho sempre cercato di immedesimarmi negli altri anche quando il loro pensiero era totalmente opposto al mio cercando di analizzare ogni punto di vista. E questa volta ho deciso di fare la stessa cosa, raccontando ciò che succede in via Giorni Santarò 76 da quando 15 profughi vivono a due rampe di scala da me e la mia famiglia. Dal 21/06, giorno in cui sono arrivati i primi 5 ho letto diversi articoli dei giornali locali relativi alla questione, ho sentito parlare chiunque, mi sono sentita osservare, ma ho preferito restare in silenzio. Dovevo informarmi, capire e conoscere. Mi sono limitata a rispondere solo a chi mi faceva domande in prima persona e probabilmente questo silenzio ha fatto davvero troppo rumore perché alcuni oggi mi guardano con sospetto perché ‘ormai i Furfari sono amici dei negri…’. Così dicono i ben informati della zona”.
LA NOTIZIA DELL’ARRIVO “Ricordo che ho saputo del loro arrivo a dicembre mentro ero ad un mercatino di Natale. arriva una telefonata e tutto cambia: in pochi secondi ti senti avvolto dalla paura, dall’ansia e dalla rabbia. L’indomani chiami l’avvocato, il comune e chiunque ti venga in mente per poter trovare il modo di bloccare l’arrivo di queste persone di cui senti parlare dalla TV e dai giornali sempre peggio. Ma i giorni passano e inizi a capire che nessuno ha una soluzione e intanto, dopo anni, partono i lavori per la messa in sicurezza dell’intero immobile: avevo sempre desiderato che la casa venisse messa a posto, che quella palificazione dichiarata necessaria dall’ordinanza comunale anni addietro venisse portata a conclusione, ma l’unico sentimento che provavo era un senso di rabbia immenso e cresceva ogni giorno di più. E’ strano come le cose di cui hai sempre e solo sentito alla televisione o letto sui giornali e che ti sembravano lontane anni luce, nel giro di pochi mesi, ti cadano addosso. Tutto stava per cambiare: forse non sarei più potuta uscire di casa la sera, forse dovevo farmi accompagnare, forse era meglio andare via” scrive Luana Furfari.
L’INCONTRO DI FUOCO IN COMUNE “Siamo a Giugno 2017 e trovo un biglietto nella cassetta della posta. Non è intestato, non ha timbri ne firme. Mi invitano a una riunione in comune con tutti quelli della via per affrontare l’argomento profughi. Ricordo che la sera dell’incontro i miei, mentre si preparavano, discutevano su come fare le inferriate alle finestre di casa. All’appuntamento in comune c’erano tantissime persone. Non immaginavo di avere cosi tanti vicini, ma sicuramente il tema era sentito da tutti. Ci sediamo, c’e’ il sindaco, la giunta comunale, l’opposizione, i responsabili della Cooperativa che gestirà il centro di accoglienza, gli scout, alcuni membri dell’associazione “Insieme Val Maremola”. Ormai sapevo che non c’era niente che si potesse fare per cambiare le cose e tutto ciò che volevo da quell’incontro era semplicemente informarmi, sapere chi arrivava, cosa avrebbe fatto e come tutti pensavano di organizzare la cosa. Ma in pochi minuti si è scatenato il putiferio. Chi urlava contro il sindaco o contro la cooperativa, chi parlava di IMU, chi di condoni, chi delle gronde della casa, chi chiedeva come potessimo fare a non investire per la strada i profughi di notte…..tutti sono stati soprafatti da un unico sentimento, quello che io ormai conoscevo bene ma che ormai sapevo gestire: la paura. Così mentre sotto il comune stazionavano i carabinieri la riunione si concludeva senza che io potessi chiarirmi le idee. Volevo solo sapere che sarebbe successo, ne avevo il diritto, ma non è stato possibile. E non incolpo nessuno per questo: capisco i miei vicini perché, anche se gestiti in maniera differente, i miei sentimenti e i miei pensieri erano pressochè identici ai loro. Quella sera si dimostano tutti gentili con me, solidali, mi rassicurano offrendomi il loro numero telefonico e dicendomi che i miei genitori potevano contare su di loro. Con i responsabili della Cooperativa ho parlato per pochi minuti: ci siamo presentati e ho chiesto loro un’unica cosa, ovvero un riguardo per i miei genitori. Passano i giorni e vengo a conoscenza della nascita del Comitato di quartiere: i vicini mi dicono di non preoccuparmi e io dico loro che sono liberi di agire come credono, ma di ricordarsi sempre che li io ci abito”.
ARRIVANO I PROFUGHI “Giovedi 21 Giugno verso le ore 23 arrivano i primi profughi. Quella notte non ho proprio dormito: ero un mix di troppi sentimenti. Il venerdì a mezzogiorno chiamo mia madre e con molto stupore la sento rilassata e tranquilla. Ha visto i ragazzi, si sono presentati, ha conosciuto il mediatore culturale e mi dice che va tutto bene. Alle 14 ricevo un messaggio che mi avvisa della presenza dei pompieri a casa mia. Chi conosce la storia del civico 76 sa cosa mi è frullato in testa in quel momento. Ero a due ore di macchina da casa e, colta nuovamente dal panico, chiamo ancora mia madre. Mi spiega che i vicini hanno portato dolci e caramelle ai ragazzi, ma che poco dopo hanno chiamato i pompieri perché c’era una valvola del gas che perdeva. Lei è scesa giù per capire cosa stava succedendo e ha chiuso la valvola che era rimasta un po’ aperta. I vigili del fuoco si rendono conto che non c’e’ nessun pericolo, viene avvisato il proprietario di casa, arrivano i responsabili della Coop, i ragazzi sono un po spaventati e i vicini vengono invitati ad andare via. Quella stessa sera veniamo avvisati dai vicini che ‘i nostri rapporti si concludono qua’. A dire la verità, in 30 anni, non abbiamo mai avuto chissà che rapporti visto che i nostri rapporti di buon vicinato erano iniziati esattamente una settimana prima”.
GLI ‘AMICI DEI NEGRI’ “Intanto passano i giorni ed è inevitabile avere i primi contatti con i nostri nuovi vicini di casa. I ragazzi si dimostano gentili, cordiali, puliscono dapertutto. Le mie giornate proseguono, senza rendermene neanche conto, come sempre. Come dopo la riunione in comune leggo altri articoli sui giornali. Ma questa volta non parlano dei profughi ma dello stabile dove alloggiano definendolo fatiscente, una discarica a cielo aperto, decadente. Ma come proprio ora che è stato messo in sicurezza? Certo non è bellissimo esteticamente ma sicuramente con meno problemi rispetto a qualche mese fa! Poi capisco lo scopo di chi ha fatto quelle dichiarazioni e quasi mi viene da ridere: per anni abbiamo chiesto ai vicini di denunciare le condizioni dello stabile e mai nessuno lo ha fatto e ora che invece è sicuro sia per loro che per noi che per i profughi tutti si preoccupano? La gente parla, mi fermano in posta, al semaforo, ovunque, un po’ per curiosità forse un po’ per dovere di cronaca. E a tutti rispondi la stessa cosa in maniera molto spontanea ‘i ragazzi sono tranquilli, quasi non si sentono…. Non posso dirle altro perché non succede niente’. Ma si sa che il chiacchericcio fa parte di tutti e cosi vengo a sapere che il comitato di quartiere ha già fatto delle riunioni a cui noi non siamo stati invitati. Ma come? Vi fate propaganda nel paese dicendo a tutti che lo fate per noi e che siete preoccupati per la nostra incolumità e poi noi siamo esclusi dal comitato?
PIACERE DI CONOSCERTI “Conosco piano piano i ragazzi, il mediatore culturale, le ragazze che fanno i turni di giorno e i ragazzi che fanno quello di notte…..faccio tremila domande a chiunque mi capiti a tiro. Come ogni buon rapporto di buon vicinato iniziamo ad aiutarci a vicenda e tutto procede serenamente. Ho partecipato alla cena organizzata dall’associazione “Insieme Val Maremola” insieme alla mia famiglia, ho sentito i racconti di alcuni di loro e posso solo dire che è stata una bella serata, fatta di semplicità, solidarietà, armonia. Non crediate che non abbia pensato a quanto ci fosse di vero nei racconti di quella sera e in tutto ciò che nei giorni precedenti mi è stato raccontato. Sono una persona diffidente di natura, mi sono fatta mille domande e ancora oggi me ne faccio, ma neanche loro sanno cosa c’è di vero in noi, in quello che gli diciamo o che facciamo per loro. Dopotutto in ogni rapporto la fiducia si conquista a poco a poco conoscendosi. So bene che troppi italiani sono senza lavoro, senza casa, nella disperazione più totale, so altrettanto bene che tra i profughi c’e’ sia chi scappa da guerra e carestie e chi si mischia a loro per altri scopi, so che alcuni gesti considerati da noi normali possono essere travisati da loro, ma so anche che, a discapito di tutta la povera gente, bianca e nera, il business non si fermerà perché il mondo gira intorno ai soldi e c’è chi ne sta facendo molti. E cosi, tra un piatto africano e uno italiano, tra un corso casalingo sulla raccolta dei rifiuti e una serata di condivisione, tra quattro chiacchiere e tante domande tutto procede per il meglio al momento”.
RIFLESSIONE FINALE “Grazie alla mia amica Carlotta, a Lad, a Titti, a Marcella, a Paola, a Sonny, a Vinicio, a Enrique per avermi capita e ascoltata. Omar, Adama, Eric, Kevin, Aron, Taala, Mohamed, Alhassane, Barry, Keita, Ibrahim, Amadou, Sylla e Comlan spero che voi riusciate a farvi conoscere. Semplicemente conoscendovi e vivendovi si può capire e chissà che non ci invitino tutti alla prossima riunione del comitato di quartire! Non c’è nessuno da combattere, non ci sono ne vinti ne vincitori, ne vittime ne carnefici. Qui ci sono solo persone”.