In ambito calcistico il semplice video sull’avversario non basta più oggigiorno, ma serve invece un’analisi sempre più dettagliata delle caratteristiche tattiche e delle situazioni ricorrenti (le cosiddette costanti). Dalle VHS si è passati ai DVD ed infine, agli attuali file multimediali. E, parallelamente, è nata quindi la necessità per ogni staff tecnico di dotarsi di una figura che, a tempo pieno, potesse occuparsi dell’analisi dei video prodotti a partire dalle registrazioni degli incontri fornite dalle pay-tv (ma anche da riprese aggiuntive introdotte nel corso degli anni).
Per approfondire ulteriormente l’argomento relativo alla “match analysis” con un punto di vista più interno e professionale, si è pensato di fare qualche domanda ad Antonio Gagliardi, analista della Nazionale italiana di calcio allenata prima da Prandelli e poi da Conte. Antonio docente ed ideatore con Maurizio Viscidi in collaborazione con Sics, del primo corso italiano di Match Analysis per la certificazione del video analista tattico, ha 33 anni ed è di Bassano del Grappa. È un lettore estremamente attento di tutto ciò che riguarda il calcio e si dimostra da subito molto disponibile.
Gli chiediamo tanto per rompere il ghiaccio: Cosa hai fatto prima di essere l’analista della Nazionale?
dal Milan di Ancelotti alla Roma di Spalletti, dall’inter di Mancini alla Fiorentina di Prandelli. Ho avuto la fortuna di essere uno dei più giovani del settore, ma allo stesso tempo possedevo esperienza già da una decina d’anni al momento del boom. Nel 2007 tutta la struttura di analisi video e dati SICS è passata ad Opta Italia e circa un anno dopo Roberto Donadoni mi ha chiamato come video analista per Euro 2008 con la Nazionale. Terminato l’Europeo 2012 ho lasciato Opta per entrare in Federazione a “tempo pieno”, come parte dello staff di Prandelli, responsabile della Match Analysis.
Puoi descriverci quali erano i tuoi compiti all’interno dello staff del Cesare nazionale?
Mi occupavo dell’analisi degli avversari e delle nostre partite. Presentavo una serie di report sia video che cartacei sui nostri avversari, nei giorni precedenti all’incontro. Il mio ruolo era dunque quello di fornire il più completo studio sugli avversari possibile e le mie analisi venivano studiate e rielaborate da Gabriele Pin, vice allenatore, e Maurizio Viscidi, collaboratore tecnico, e poi condivise con il Ct.
Chi ha portato in Italia la video analisi?
Con la rivoluzione tattica di Sacchi di fine anni Ottanta sono cambiate anche le metodologie di lavoro e l’avvento di una generazione di allenatori ha portato nel corso degli anni Novanta a un utilizzo massiccio delle tecnologie nel mondo del calcio. In Italia sono nate due aziende: la bresciana Digital Soccer di Adriano Bacconi e la citata Sics, di Bassano del Grappa. Hanno cominciato loro ad effettuare le prime rilevazioni statistiche inserendosi poco a poco sia nel mercato dei club sia nel mercato dei media. L’aumento delle partite in tv dei primi anni Duemila e le innovazioni tecnologiche hanno fatto il resto: ai dati statistici si è aggiunta l’analisi video.
Poi è nata anche l’italianissima Wyscout, che partendo da Chiavari in pochi anni è diventata la principale protagonista nel settore dello scouting dei giocatori e dei giovani per il mercato calcistico (con clienti come Barcellona, Liverpool, Boca Juniors, una vera e propria eccellenza italiana).Già da qualche anno ormai praticamente ogni squadra ha un proprio analista (o legato al club o legato allo staff dell’allenatore) e nei media i dati vengono ampiamente utilizzati. Addirittura nei contratti calcistici sono previsti bonus non solo per goal e presenze ma, in alcuni casi, anche per gli assist.
Chi sono stati i fautori principali del fenomeno “analysis”?
Adriano Bacconi che lasciata la Digital e approdato in Rai, dove ha iniziato a far conoscere al grande pubblico l’utilizzo delle statistiche nel calcio e l’analisi tattiche.Tra le parabole che fondano il mito dell’analisi statistica c’è inoltre quella di Redknapp, allora allenatore del Southampton che dopo una sconfitta risponde provocatoriamente all’analista Simon Wilson: “Facciamo così, la prossima volta facciamo giocare il tuo computer contro il loro e vediamo chi vince”.
Adesso si parla in maniera esplicita di “rivoluzione”, sia dal lato professionale dei club ma anche da quello mediatico.
A che punto pensi che ci troviamo? A livello ufficiale come è inquadrata la figura dell’analista?
Il calcio non è diverso da altri importanti settori della nostra vita quotidiana, in Italia e nel mondo, dunque l’innovazione spesso trova parecchie resistenze. Credo però che il processo di rivoluzione sia ampiamente iniziato ed è irreversibile. Purtroppo però quella dell’analista è una figura non ancora riconosciuta ufficialmente alla pari degli altri membri di uno staff tecnico preparatore dei portieri, preparatore atletico etc. Spesso l’analista è inquadrato come collaboratore tecnico che poi funge da responsabile della Match Analysis. In linea generale in Italia l’analista si occupa dell’analisi video degli avversari e “controlla” le statistiche (in Italia sono usate molto poco dagli staff tecnici), senza separare le due figure. In Inghilterra o in altri paesi più evoluti, dove per ogni club esiste l’area della Match Analysis con 3-4 persone dedicate, può esserci una maggiore specializzazione.
Soffermandoci sull’aspetto mediatico, in che modo pensi si distingua il contesto attuale italiano da quello inglese? Non senti sminuito il tuo lavoro dalle telecronache sciatte o dai commentatori poco competenti del dopo-gara?
Tralasciando gli Usa che come approccio ai dati sconfiggono tutti per distanza – aiutati anche dal fatto di amare sport più facilmente leggibili attraverso le statistiche, dal basket al baseball – anche in Inghilterra sono molto più avanti di noi. Dal punto di vista mediatico invece nei giornali ormai non si contano le classifiche di rendimento “numeriche”, le analisi tattiche corredate di numeri e i “Fantacalcio” statistici. Credo sia un problema culturale, il tifoso o l’addetto ai lavori italiano, anche se mediamente più appassionato di tattica, mostra maggior diffidenza ai numeri rispetto a un inglese. Forse si preferisce esprimere la propria opinione senza affidarsi a dati oggettivi. Penso però che anche qui l’approccio stia cambiando, e i mass media se ne sono accorti. Se vogliono dei lettori di qualità devono fornire informazioni di qualità, e l’utilizzo dei numeri per approfondire una determinata tattica di una squadra o dei movimenti di un giocatore credo possa rientrare nella definizione di “informazione di qualità”.
Quali sono i limiti delle analisi oggettive sul calcio? Come misurate il vostro lavoro in uno sport dominato dalla famosa “cultura del risultato”?
Come ho accennato il nostro lavoro al momento privilegia la parte video a quella statistica. Per quanto riguarda l’analisi video, riuscire a individuare pregi e difetti dell’avversario di turno è diventata un’operazione fondamentale nel lavoro quotidiano di un allenatore. La situazione invece è diversa per l’utilizzo di analisi oggettive numeriche. I limiti delle analisi oggettive numeriche nel calcio sono intrinseci alla natura stessa di questo sport. E ciò che rende unico il calcio rispetto agli altri sport è il punteggio. In tutti i principali sport il punteggio viene “costruito”: per vincere una partita di tennis ho bisogno di effettuare decine di punti (15-0, 30-0, game, set, partita), così come nel basket ho bisogno di effettuare decine di canestri (80-60 per esempio, più di 30 canestri effettuati). Negli altri sport, cioè, vince sempre il più bravo. Non il più forte sulla carta ma il più bravo in quella singola partita, perché solo la bravura (certo non la fortuna) mi permette di sopravanzare l’avversario per decine di volte (al massimo una partita può presentare un risultato in parità fino alla fine e dunque con una bravura uguale o quasi per le due squadre). Nel calcio il Real Madrid può dominare la partita contro l’Almeria, tenere 80 percento del possesso palla, 30 tiri in porta con 5 pali e miracolose parate del portiere, ma poi nell’unico tiro in porta al novantesimo magari l’Almeria vince. Non esiste la ripetitività dell’evento fondamentale, quello che fa vincere la partita. Detto questo, diventa ancora più importante lavorare non sul risultato ma sulla prestazione. Lavorare cioè per far ripetere il maggior numero di volte possibili quelle situazioni in cui la tua squadra può segnare o, in fase difensiva, lavorare per ridurre le situazioni pericolose in cui gli avversari possono segnare.
A che tipo di errori si va incontro se ci si avvicina alle statistiche in modo troppo ingenuo?
Alcuni dati, se non bene interpretati, non solo non aggiungono niente all’analisi ma possono portarti fuori strada. Un esempio perfetto è quello della posizione media: viene calcolata mediando le zone in cui un giocatore ha interagito con la gara (dunque tocchi di palla, tiri, dribbling, passaggi ma anche falli, intercettazioni, etc.). Nel caso dei giocatori di fascia, a volte la posizione media risulta centrale, quasi da punta, ma questo si spiega perché magari hanno giocato un tempo da ala sinistra e un tempo da ala destra. Un osservatore esterno però può pensare che abbia effettivamente giocato al centro. Chiaramente per chi non ha ben chiari i metodi di raccolta del dato e di rielaborazione andare incontro a questi errori è abbastanza normale.
Che differenza c’è tra i dati accessibili al pubblico e ai media e quelli per professionisti?
Chiaramente i dati disponibili al pubblico e ai media sono di un livello di dettaglio inferiore a quelli utilizzati dai club professionistici. Giustamente, aggiungerei, spesso i club pagano migliaia di euro per avere quei dati, e non accetterebbero di vederli gratuitamente sul web con il rischio, fra l’altro, di svelare qualche loro “segreto”.