Lettera al direttore

Politica

Buon 8 marzo tra vecchi e nuovi burqa

Oggi 8 marzo 2017 io sono in sciopero e lascio una giornata di lavoro sul piatto a favore della lotta contro la violenza sulle donne e a favore della nostra cultura di consapevolezza di parità al genere maschile, pur nella diversità. NON UNA DI MENO. Lunedì 7 marzo ho annunciato nel luogo dove attualmente lavoro (carcere di Marassi -istruzioni adulti – alfabetizzazione) il mio sciopero ed il fatto che oggi non sarò a scuola. Non è mio uso portare al pubblico i temi affrontati a scuola, ma oggi decido di farlo perché credo che presso la politica regionale, ma anche nazionale, non ci sia la lucidità e la temperanza necessaria, fondamentale a guidare il Paese per navigare in questi tempi bui. Come dicevo lunedì 6 marzo comunico alla classe che, oggi 8 marzo, non ci sarà lezione perché sciopero per la lottare contro la violenza sulle donne.

La classe è composta da uomini in prevalenza mussulmani, il comportamento di tutti è sempre rispettoso nei miei confronti. Uno di loro dice che se le donne portano la minigonna e vanno svestite in giro, poi è normale che il marito si arrabbia e può alzare le mani, non tutti sono d’accordo. Penso :”ci risiamo”. Non posso entrare a piè pari in una mentalità profondamente radicata, allora rispondo che nessun essere umano ha il diritto o il dovere di toccare un altro essere umano, per nessuna motivazione. Si apre una piccola discussione e molti concordano sul fatto che se si è troppo diversi ognuno deve stare per proprio conto, ma non si deve toccare una donna.

Il giovane uomo insiste dicendo che è colpa delle donne, gli chiedo di riflettere se per lo stesso principio lui e loro che sono in carcere ed hanno sbagliato possono essere picchiati e/o subire violenza psicologica. si è aperta una piccola breccia… Capisce, mi chiede scusa, ma non per finta per davvero; scuse che accetto volentieri per le tante donne che sono in situazione di sofferenza per mano di una cultura maschilista che non vede distinzione né di ceto sociale, né di nazionalità. Riprendiamo la lezione ordinaria; alla fine della lezione il giovane uomo mi riporta la penna che non ricordavo più di avergli prestato. Martedì 7 marzo sono con le altre “fratelle” in Consiglio Regionale per la “seggiola del territorio”: si avverte una energia pesante, c’è il solito andirivieni, pochi stanno seduti al loro posto, come sempre accade durante le interrogazioni agli assessori:. Strano… sembra quasi che penda una spada di Damocle sul Consiglio.

I consiglieri durante la lettura dei documenti si “impappinano” quasi tutti, tanto da farci temere di essere su paperissima, invece purtroppo siamo in Consiglio Regionale; le interrogazioni dei consiglieri e le risposte degli assessori prendono virate propagandistiche ed elettorali. Ad un certo punto spunta il “caso 8 marzo” e la giornata della donna viene tirata fuori dal cassetto. L’ assessora Viale viene interrogata in merito ad un caso avvenuto in un ospedale della Liguria dove una donna incinta, di nazionalità italiana era stata spostata di stanza perché, a dire del marito, la compagna di stanza era mussulmana e a quest’ultima l’ospedale aveva riservato la camera per garantirne le tradizioni. L’assessora Viale nella risposta asserisce che la riserva della camera ad uso individuale alla partoriente mussulmana era stata disposta per motivi sanitari certificati che, per privacy, non potevano essere esposti in Consiglio. Poi giusto perché il 7 marzo è proprio prima del 8 pensa bene di anticipare la proposta di legge regionale che vieta l’uso del burqa nei luoghi pubblici e negli ospedali e qui si apre la campagna elettorale sulle spalle delle donne…. Salvatore e Paita si schierano a favore della libertà dell’uso del burqa, a ruota Pastorino si è sente in dovere di proclamarsi anche lui sostenitore della libertà delle donne.; la Pucciarelli prende le parti della Viale.

Dopo quasi 2 anni di presenza sugli spalti del consiglio regionale posso asserire che, a parte i proclami, per le donne non è stato fatto quasi nulla, ma la cosa più grave è che i temi riguardanti il femminile vengono affrontati in questa sede con una superficialità disarmante. L’Italia arranca in merito ai temi della emancipazione femminile, non dimentichiamoci che le prime sentenze contro il delitto d’onore sono del 1968, ma che bisognerà attendere sino al 1981quando con la legge 442 finalmente se ne abrogano tutte le disposizioni. Allora dobbiamo essere proprio noi donne a riconoscere i costumi che ci ingabbiano e che erroneamente vengono chiamano “costumi culturali”, dobbiamo essere noi donne attente a trattare questi temi senza superficialità, dobbiamo studiare, conoscere per capire e non essere vittime di noi stesse. E allora guardiamo con attenzione la questione BURQA.

Per fare un po’ di chiarezza occorre prima di tutto sapere che le prescrizioni religiose dell’Islam richiamano alla copertura del capo e non del viso, occorre poi saper che esistono almeno quattro tipologie di velo islamico: l’HIJAB, lo CHADOR, il NIQAB, il BURQA. La maggioranza delle donne mussulmane indossa l’ hijab, il velo che copre il capo ed al massimo il collo, ma lascia scoperto il viso. Lo chador è usato per lo più dalle donne in Iran, è un mantello nero, lungo sino ai piedi che lascia il viso scoperto. Il niqab è usato soprattutto in Arabia Saudita e paesi limitrofi è nero e copre tutta la donna, viso compreso, ma lascia visibili gli occhi. Il burqa è tipico dell’Afghanistan, è un ampio telo di colore azzurro o grigio che copre tutta la donna e nella zona occhi è applicato un tessuto traforato. Ora, quando noi occidentali parliamo di burqa intendiamo la copertura totale della donna, ma viene coperta anche la ragazza minorenne in età di sviluppo. Rimango perplessa quando ascolto la Salvatore e la Paita sostenere il diritto delle donne ad indossare il burqa… Pastorino per oggi lasciamolo perdere. Vorrei ricordare che è uso e tradizione in molte popolazioni l’infibulazione femminile, vietata in Italia dal 2006, nessuno si sognerebbe di dire che è una pratica culturale, anche se nei paesi dove viene praticata è ritenuta tale. Coprire completamente una donna durante la vita sociale esterna è una pratica di diniego della identità corporea e della immagine di sé, sia che lo decida la donna stessa, sia che lo decida la legge del Paese di provenienza.

È bene anche ricordare la provenienza di tale radice”culturale”. Il niqab presente nel Vicino Oriente ha origine pre islamica ed è legato al Wahhabismo corrente fondamentalista legata all’ Arabia Saudita, invece il burqa è stato introdotto in Afghanistan all’inizio del 1890 durante il regno di Habibullah Kalakani per farlo indossare alle 200 donne del “suo” harem, durante le uscite fuori dalla residenza reale affinché non fossero oggetto di desiderio maschile altrui. Sino al 1950 rimane prerogativa esclusiva dei ceti elevati. Nel 1961 una legge afghana ne vieta l’uso alle pubbliche dipendenti. Durante la guerra civile viene istaurato un regime islamico che vede il ritorno dell’uso del burqa, con il successivo regime teocratico dei taleban viene proclamato il divieto assoluto per le donne di mostrare il viso. Quindi è chiaro che l’obbligo di indossare il burqa ed il niqab in età contemporanea non trae origine dai fondamenti coranici che richiedono il velo islamico per coprire il capo, e non il volto tradizione presente anche nel modo antico greco-romano, ma implica l’intenzione, consapevole o inconsapevole, di occultare l’immagine della donna agli occhi degli uomini estranei alla famiglia.

Ora è evidente che tale cultura va rinnegata perché sia che la sostenga l’uomo o la donna, sottintende la concezione di femmina quale oggetto di desiderio e la concezione di maschio quale soggetto al desiderio: in entrambi i casi si intende la persona umana come limitata nel proprio sé e soggetta agli istinti. Vale anche la pena ricordare che in Italia con la legge 155 del 2006 “è vietato l’uso del casco o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o spazio aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Se qualcuno pensa che il giustificato motivo sia la matrice culturale, bene, questa matrice è da cambiare così come abbiamo cambiato la matrice culturale che a molti uomini e a diverse donne in Italia faceva sostenere le ragioni del delitto d’onore. Mentre combattiamo per rendere consapevoli le donne che indossano il burqa o il niqab, per dire che in tale modo annientano la loro identità corporea in ambito sociale, noi stesse, donne occidentali, dobbiamo prendere consapevolezza del nostro nuovo burqa chiamato botulino od eterna giovinezza che ci spinge a non accettarci, annientando così la nostra identità, alla ricerca estetica di una falsa copia di noi stesse.

Forza donne! La strada è la ricerca e la valorizzazione della bellezza intima che ciascuna di noi possiede, ma che fatichiamo a riconoscere in noi stesse e nell’altra. Il percorso è ancora lungo e lo dobbiamo combattere assieme partendo da noi stesse per poi abbattere gli stereotipi che fanno male a noi donne ed anche agli uomini. Tutti dobbiamo essere consapevoli per costruire un futuro migliore.

Buon 8 marzo a tutte!

Mirella Batini 

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