Lettera al direttore

La recensione

Giorno della Memoria, successo per lo spettacolo “BuchenwaldTosca” a Cairo

Ecco la recensione del musicologo Alfredo Malerba dello spettacolo organizzato dal Comune di Cengio in parternariato culturale con tutti i Comuni della Valle Bormida

BuchenwaldTosca

Lo scorso 27 gennaio, Giorno della Memoria, al Teatro della Scuola di Polizia Penitenziaria è andato in scena lo spettacolo lirico “BuchenwaldTosca” organizzato dal Comune di Cengio – Settore Cultura nell’ambito del progetto Cengio in Lirica, in parternariato culturale con tutti i Comuni della Valle Bormida. Di seguito la recensione scritta dal musicologo genovese Alfredo Malerba, che ha assistito in prima fila allo spettacolo lirico.

27 Gennaio: una data storica giustamente ricordata in tutto il mondo.
Tra le tante iniziative,spicca, per originalità, la toccante realizzazione dello spettacolo BUCHENWALDTOSCA,messo in scena a Cairo Montenotte,da un’idea di Mauro Pagano per la regia di Marcello Lippi. Corre l’obbligo, innanzi tutto, di considerare che non si tratta di una rivisitazione della celebre opera,ma di una ben mirata fusione di due eventi: un melodramma e la rievocazione di un vero dramma; il tutto in un crescendo di emozioni che incantano e coinvolgono lo spettatore conducendolo alla consapevolezza di aver partecipato ad un evento unico. Lavoro realizzato,guarda caso,nel teatro della scuola della Polizia Penitenziaria…e già all’ingresso dell’area della caserma si trova un vero agente in divisa che aziona un cancello automatico per consentire l’ingresso delle auto,per altro sotto una nevicata che,in armonia col titolo, richiama il freddo inverno tedesco. L’inferno nazionalsocialista viene concretamente proposto alla biglietteria,dove soldati con le originali divise dalla SS accolgono un pubblico cui è impossibile restare indifferente alla vista di quelle uniformi con tanto di svastica al braccio;pastori tedeschi al guinzaglio di sentinelle armate di mitra, sorvegliano poco più avanti un gruppo di reclusi,col tipico pigiama a strisce, frequentemente richiamati da un’autoritaria pronuncia tedesca. Sarà che si tratta di storia recente,con tanti superstiti ancora in vita, sarà per quanto abbiamo visto nelle testimonianze dei documentari,ma l’impressione suscitata,già prima dello spettacolo,risulta molto,molto forte ed ha tutti i connotati di una tragica Overture.

Dopo una breve ed esplicativa prolusione,la presentatrice ha invitato il pubblico in sala ad astenersi dagli applausi se non a fine d’atto, trasmettendo così ai presenti la sensazione di non assistere ad un’opera lirica ma di partecipare ad un evento commemorativo cui si addice maggiormente il silenzio,il rispetto e la commozione. E difatti le lacrime non sono mancate. La realizzazione artistica che ha come paradigma l’armonia per contrasto.trova qui la sua espressione nella contrapposizione tra le melodie di Puccini e la gelida,terrificante atmosfera del lager. Un gruppetto di artisti prigionieri,per il diletto di un gruppetto di graduati,seduti in un’improvvisata platea,sulla destra del palcoscenico, esegue l’opera sopra un improvvisato palco: Il teatro nel teatro. Desiderio di amore,di vita futura e l’ineluttabilità della morte:questo è TOSCA…questo è BUCHENWALD.

L’opera, raffazzonata, come può esserlo in un campo di concentramento, è stata mirabilmente restituita dagli interpreti: la soggezione e l’ansia di esibirsi davanti ai propri carnefici è stata resa, sin da subito, dall’entrata di Angelotti, formidabile nel mostrarsi timoroso ed esitante; sospinto ed incoraggiato dal più intrepido Cavaradossi, esordisce con le parole di Illica e Giacosa,adattissime alla circostanza:”…nel terror mio stolto vede ceffi di birro in ogni volto”. Idee geniali hanno caratterizzato l’intero svolgersi dell’opera,sempre nel massimo rispetto delle note. : ufficiali che irrompono sull’improvvisata scena per interrompere le troppo dolci effusioni tra Floria ed il suo amante. Affatto vincente,poi, aver affidato la parte del “bigotto e satiro” Scarpia ad un Capò, che, in virtù del suo grado, riesce a recitare con maggior disinvoltura identificandosi totalmente nel suo doppio ruolo, non scordando, tuttavia, qual tipo di pubblico sia costretto a compiacere: “è forza che si adempia la legge”- affermazione categorica che non ammette polemiche, declamata a gran voce non alla sua interlocutrice ma agli inquietanti spettatori del lager; una vera e propria “captatio benevolentiae”, peraltro, vana.

Toccante infine l’aria del tenore, anch’essa rivolta ai gerarchi ed il “muoio disperato e non ho amato mai tanto la vita”, assume connotazioni di tale realismo capace di toccare le corde più profonde di tutti i presenti. Corre l’obbligo di lodare anche la bravura delle comparse che hanno saputo incarnare al meglio lo spirito e le movenze degli ufficiali nazisti: attratti dalla bellezza dell’opera italiana, dimostrano competenza e gradimento per l’intrattenimento offerto dai reclusi;c’è chi segue passo-passo sullo spartito,chi si gode la musica senza mai cessare di vigilare e senza lesinare convinti battimani al termine delle romanze. Stupore e sorpresa hanno suscitato le esecuzioni dei cantanti uccisi appena terminati i rispettivi ruoli. La TOSCA reclama le sue vittime ed a “consacrare il melodramma in autentico dramma se ne fa carico la follia nazista; una trovata registica dove la finzione diventa realtà sul palcoscenico o più verosimilmente un messaggio universale: l’impossibilità per l’ARTE di sopravvivere nei regimi dittatoriali.

Cast di ottimo livello. Particolarmente felice la scelta della fisarmonica, strumento degli umili, evocatore di luoghi lontani, che insieme a violino e pianoforte, grazie agli esecutori, rispettivamente:M° Franco Giacosa, Massimo Cocco e Massimo De Stefano, hanno sostenuto brillantemente solisti e coro. La protagonista Renata Campanella, già vincitrice del concorso Cengio in lirica 2016, ha mostrato radiosa purezza e fermezza di emissione con acuti lucenti e timbratissimi rivelando anche spiccate doti di attrice che la parte reclama: vale ricordare, ad esempio, la destrezza nell’utilizzo di uno spazzolino, improvvisato sostituto del ventaglio. Accanto a Lei, il Cavaradossi di Mauro Pagano:parte quanto mai congeniale al Suo timbro bruno, alla calda espansività di un fraseggio morbido con attimi di grande tenerezza al primo atto e di lacerante disperazione al terzo;ispiratore dello spettacolo,ha dominato la scena,contribuendo col Suo consumato mestiere a mettere in valore l’nterpretazione dei colleghi.Assai convincente lo Scarpia di Giorgio Valerio, in un ruolo baritonale che reclama in quest’ambito una perfidia al quadrato.Non di meno per i comprimari. Marcello Lippi, regista di valida esperienza e solido buon senso, con estrema sagacia,ha saputo trarre buon partito dalle possibilità offerte dalla scena. Successo di pubblico. Un vero trionfo. L’auspicio è che simili realizzazioni possano essere riproposte e divulgate a benefico della cultura,della memoria storica e delle future generazioni.

Dott. A. Malerba, musicologo

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