Albenga. Nel marzo scorso due cittadini nordafricani erano finiti in manette con l’accusa di essere i responsabili del sequestro “lampo” di un sudamericano, J.V.C., che era stato rinchiuso nell’ex convento di Lusignano, frazione di Albenga. Questa mattina, per quella vicenda, Mouhamed Alì Kassraoui, detto “Tyson” (per la sua vaga somiglianza con il noto pugile), algerino di 46 anni, ritenuto la “mente”, è stato condannato a quattro anni e otto mesi con l’interdizione ai pubblici uffici per cinque anni.
Il suo “complice”, Said Es Saadani, marocchino di 60 anni (assistito dall’avvocato Francesca Aschero), che secondo gli inquirenti aveva avuto il ruolo di “carceriere”, è stato invece condannato a due anni e otto mesi di reclusione. Entrambi gli imputati hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato (che consente di ottenere uno sconto di un terzo della pena). Le accuse nei loro confronti erano di sequestro di persona e tentata estorsione e, solo per “Tyson”, anche di lesioni, violazione di sigilli (perché l’immobile di Lusignano era sotto sequestro) e detenzione ai fini di spaccio di eroina.
Indagando sul sequestro i carabinieri del Nucleo Operativo di Albenga avevano infatti accertato che Kassraoui, che era difeso dagli avvocati Graziano Aschero e Antonio Falchero, sarebbe stato anche coinvolto in un giro di spaccio di droga. Proprio lo stupefacente, secondo l’accusa, era all’origine del “rapimento” del cittadino sudamericano: sembra che “Tyson” accusasse J.V.C. e la compagna di avergli rubato dello stupefacente e per questo lo aveva portato nell’ex convento dove lo aveva minacciato e picchiato con un coltello da cucina. Poi, per evitare che scappasse, l’algerino aveva legato la vittima con delle fascette di plastica. Approfittando di un momento di distrazione dei suoi “carcerieri”, J.V.C. era riuscito ad inviare un sms alla compagna per chiedere aiuto e la donna aveva allertato i carabinieri.