Editoriale

La riflessione

“Il consiglio dimezzato”: che senso ha mantenere in vita la Provincia?

Viaggio tra i corridoi vuoti, la mancanza di risorse e le quotidiane lotte col numero legale di un Ente che rischia di ritrovarsi senza scopo

Savona. Una vecchia signora, un tempo nobile ed elegante ed ora sommersa nella nostalgia di ciò che fu. Una fabbrica che scrisse giorni di gloria per l’industria e che ora mette in mostra i propri macchinari ormai quasi immobili, in attesa di essere smantellati. Un’azienda ormai prossima alla chiusura, durante gli ultimi giorni prima del trasferimento definitivo.

Scegliete l’immagine che più preferite, tanto è lo stesso: basta che renda bene la malinconia, la sensazione da “ultimo giorno di liceo” che regna nell’edificio di quella che fu, e dovrebbe ancora essere, la Provincia di Savona. Un ultimo giorno di scuola che, però, dura ormai da un anno e mezzo. L’impressione, vagando nei corridoi che fino a poco tempo fa brulicavano di attività (svolta bene o male è indifferente, non è questo il punto), è quella di un’azienda pronta a trasferirsi per chissà dove che vive i suoi ultimi giorni, tra gli ultimi scatoloni da chiudere e le targhe da rimuovere.

Peccato, però, che nulla di tutto ciò sia reale: la Provincia lì è, e al momento lì sta. E quella netta sensazione di ente “abbandonato a se stesso” fa capolino ancora più prepotente, proprio perché associata all’impotenza, confessata ogni tanto a denti stretti anche da chi in quelle mura trascorre le sue giornate lavorative.

Il primo piano di Palazzo Nervi, quello “politico” per intenderci, dove avvengono i consigli e dove avevano i propri uffici gli assessori, è quello che più di tutti “tradisce” il declassamento a ente di secondo livello. Le targhe d’ottone? Addio, ora ci sono i fogli A4 attaccati con lo scotch. Le voci, il viavai? Spariti, l’attività spesso si concentra in un’unica stanza. Dove lo staff, incurante di quella sensazione opprimente, dei budget smantellati, delle difficoltà costanti, stringe i denti e prosegue a lavorare. Per quanto si può.

Lo specchio di tutto questo è il consiglio provinciale. Un tempo teatro di battaglie e di decisioni importanti (giuste o sbagliate, ripetiamo, lo lasciamo giudicare ai vari sostenitori di questo o quel colore politico), oggi teatro… e basta. Riuscire a “mettere insieme” le forze per svolgerne uno sembra sempre più complicato. Una volta si inizia con un’ora di ritardo per attendere qualcuno, un’altra si manda una macchina a prendere un consigliere bloccato in autostrada pur di avere il numero legale. E ogni tanto, come accaduto qualche giorno fa, il numero legale proprio non si può raggiungere: e allora la prima convocazione va deserta, così alla seconda (come accaduto oggi) basta avere 4 consiglieri per votare in modo valido. Oggi col presidente Monica Giuliano c’erano Beretta, Larosa, Brizzo e Fracchia: intorno a loro, sedie vuote. Un consiglio “dimezzato”. Come il Visconte di Calvino.

D’altronde i consiglieri di oggi non hanno il ruolo (né la retribuzione) dei vecchi assessori, hanno tutti altri compiti amministrativi e incastrare in mille impegni le sedute di consiglio è complicato. Senza contare che le competenze della Provincia (e quindi il potere decisionale) sono sempre più striminzite, e che le risorse a disposizione sono sempre più ridotte al lumicino (in passato sono stati “a rischio” anche servizi essenziali come lo spazzamento neve, e oggi l’Ente è “costretto” a disfarsi del trasporto pubblico addossandolo sulle spalle dei Comuni).

E allora, di fronte a tutto questo, di fronte al vuoto pneumatico con cui si scontrano ogni giorno amministratori e staff (entrambi incolpevoli, anzi vittime di un sistema sbagliato alla radice), non possiamo che chiederci: per farlo in questo modo, che senso ha mantenere in vita la Provincia?

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