Elezioni savona

Primarie no, primarie sì, primarie boh: cosa succede nel Pd?

Correnti e faide interne, tutti i controsensi di una caccia al candidato che sta minando sul nascere la corsa del Pd a Palazzo Sisto

Comune di Savona

Savona. “Come scegliere un candidato”, Scena I, Stanze del Palazzo del Pd. E’ sera. Alcune figure indistinguibili parlano intorno un tavolo.

Il candidato sarà Livio Di Tullio: è vice sindaco uscente, ha anni di esperienza, è il candidato naturale”.
“Uhm, però non è molto presentabile: intendiamoci, è bravo ma un po’ rozzo, non sa vendersi. E poi dai, sorride troppo poco!”.
“Hai ragione, l’altro giorno l’ho visto che si grattava le orecchie al Tavolo dei Giovani”.
Allora facciamo le primarie! Ci mettiamo la Pasquali e la Saccone, che insiste da mesi e mesi che vuole un incontro, che barba…”.
“Eh ma così vince Di Tullio, dai. E a me Di Tullio non piace. Candidiamo Maricone così lo togliamo alla Lega!”.
“Sono quattro, troppo chiasso… No anzi, sai cosa facciamo? Cancelliamo tutto e candidiamo la Battaglia, così almeno tagliamo la testa al toro. E’ a Genova e la conoscono in pochi, ma chissenefrega”.

Un copione ovviamente immaginario, che però se messo in scena condenserebbe in 20 secondi surreali una realtà fatta di mesi di riflessioni, capovolgimenti, dietrofront, colpi di teatro. Perché nel Pd savonese, già ferito dalle primarie fratricide tra Paita e Cofferati, la scelta del candidato sindaco per le elezioni 2016 si sta rivelando di nuovo un boomerang potente. E sì che le lezioni dovrebbero servire: le regionali, terminate tra risse, pive nel sacco e assemblee per leccarsi le ferite, erano state un monito importante. Tanto che il segretario provinciale Fulvio Briano, in un’intervista a IVG, aveva escluso le primarie a Savona: “Non ci faremo male come a Genova”. A quanto pare, però, la storia (recente) non insegna. E così nasce un tourbillon che sta spiazzando anche i pochi elettori di centrosinistra che erano rimasti immuni alle cannonate del bitume, incrollabili nella loro professione di voto.

Urge un ricapitolo degli eventi. In principio fu Livio Di Tullio. La sua candidatura è nata secoli fa, mai sbandierata apertamente ma sempre rimasta appoggiata sul tavolo, come un fatto naturale e inevitabile. Il candidato in pectore era lui. Ma il vicesindaco, come recitavano i nostri attori immaginari, non sa “comprarsi” tutti: si sussurra fatichi ad avere consenso tra i cittadini, non è bello come Berruti, ride ad alta voce alle manifestazioni tristi e grugna invece nelle occasioni da “sorriso Durban’s”. Ma soprattutto rappresenta la giunta uscente, coi suoi pregi e i suoi difetti, quindi scegliere lui significa promuovere a pieni voti l’amministrazione Berruti.

Poi arriva il bitume, la “goccia” che fa traboccare il vaso dell’indecisione. Il malcontento popolare è alle stelle, i sondaggi regalano speranze a centrodestra e M5S. Meglio sterzare. Arriva allora la seconda fase, quella dei sassi nello stagno: si vociferano nomi su nomi, si fanno misteriosi sondaggi telefonici. Urge capire che aria tira. Barbara Pasquali, Gianluigi Granero, Lorena Rambaudi. Chi ha più chance? Nella confusione si alza una mano, quella di Tiziana Saccone. Ma è come l’invisibile della classe: lei continua ad alzare il braccio, “scegli me”, e nessuno la considera, nemmeno per dirle no.

Poi arriva il secondo step: si candida Maurizio Maricone. Corteggiato a lungo da entrambi gli schieramenti, dice di scendere in campo “contro il vecchio Pd”. Definizione poco definita, se è vero che la scelta di “lanciarlo” arriva in una cena ad Albissola nella quale Nino Miceli e Giovanni Lunardon insistono su Di Tullio mentre Luca Martino e Massimo Zunino (evidentemente, “il nuovo Pd”) incoronano il commercialista savonese. Da notare che Martino sceglie per la seconda volta la barricata opposta a quella di tutti i colleghi di giunta: allora, da paitiano solitario, vinse contro le armate cofferatiane (salvo poi piangere tutti insieme dopo il voto), questa volta chissà come finirà.

Correnti che si giocano contro, cene private per mascherare dibattiti ed attriti. Ora i nomi sono quattro: Di Tullio, Maricone, Pasquali e Saccone (alla fine l’hanno inserita, peccato che lei si fosse ormai ‘sganciata’ sbattendo la porta). Le forze in campo iniziano a definirsi, l’orizzonte a intravvedersi? Nemmeno per sogno. Ci pensa il segretario Briano a lanciare altra polvere magica: “Lasciamo perdere le primarie e candidiamo direttamente Cristina Battaglia“. Figura genovese di spessore, per carità, ma (inutile nasconderlo) ben poco nota sotto la Torretta, e soprattutto totalmente inattesa (più d’uno è saltato sulla sedia al momento dell’annuncio). Una candidatura “foresta” e “dall’alto”, una mossa di Berluschiana memoria: in Regione ha funzionato, quindi perché non tentare?

Da notare che in tutto questo non sono in gioco le capacità dei singoli candidati. Non tanto perché siano tutti di peso e capacità (e in effetti hanno tutti i loro estimatori), quanto perché si ragiona su altri parametri: la “vendibilità”, la capacità di far convergere nel partito e l’appeal sugli elettori. L’idea di valutare le capacità operative e le caratteristiche dei singoli candidati, e scegliere insieme il migliore, non sfiora nessuno. Così come quella di parlare dei programmi: Di Tullio ci ha provato, in un incontro ieri sera, peccato che gli abbiano tolto ogni spazio sui giornali con la “mossa Battaglia”.

Forse su tutto questo pesa un peccato originario, ossia il subentro di Di Tullio al vicesindaco originale, Paolo Gaggero. Fosse rimasto lui, si vocifera nel Pd, il candidato sarebbe stato pronto senza se e senza ma: un “Berruti Bis”, un professionista rispettabile e credibile e con la “giusta immagine”. E ah, già, che sbadati: anche capace e competente. Ma Gaggero non si è mai troppo innamorato della politica, e ormai è storia.

Chi dovrebbe fregarsi le mani davanti a tutto questo è il centrodestra. Peccato però che del candidato, annunciato e garantito senza fallo “entro Natale”, al 9 gennaio non si intravveda manco l’ombra: segno probabile di altrettanta confusione, sicuramente meglio mascherata ma potenzialmente altrettanto letale. Perché tra i due litiganti, si sa, il terzo gode: e i falchi del Movimento 5 Stelle, quelli che “è meglio facciano opposizione perché se governano son guai”, volano su Palazzo Sisto assistendo e ridacchiando. E’ vero, anche loro non hanno ancora un candidato. Ma per loro, almeno, è normale e previsto: loro, si sa, candideranno il Movimento, e il Sindaco X sarà più che altro il portavoce.

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