Verso la sentenza

Processo “falsi ciechi”: pm chiede tre condanne

La discussione terminerà la prossima settimana quando è attesa anche la sentenza

Savona Tribunale

Savona. Tre condanne per una pena complessiva di cinque anni e sei mesi di reclusione. Sono le richieste avanzate questa mattina dal pm Daniela Pischetola nell’ambito del processo per il caso dei “finti ciechi” (così come era stata ribattezzata l’indagine della guardia di finanza di Savona) che vede a giudizio tre persone Rosa B., di Varazze, Giuliana G., e Davide F., entrambi di Savona.

Per tutti l’accusa contestata è di truffa per aver percepito indebitamente – questa la tesi della Procura – le indennità di accompagnamento. Il pubblico ministero ha chiesto due anni e sei mesi di reclusione e 600 euro di multa per Rosa B., due anni e 600 euro di multa per Giuliana G. e un anno di reclusione e 300 euro di multa per Davide F. (che è l’unico degli imputati ad aver transato con l’Inps restituendo le somme contestate dopo che, in una recente visita, da cieco assoluto è stato classificato come “parziale”).

Nella sua requisitoria il pm Pischetola ha ripercorso i passaggi dell’intera vicenda che risale al gennaio 2012 quando, dopo una segnalazione, la guardia di finanza aveva iniziato un’attività di monitoraggio condotta su un “campione” di circa una cinquantina di ciechi residenti in provincia e che, in base ai tabulati dell’Inps, avevano bisogno dell’accompagnamento in quanto portatori di un handicap totale o comunque che impediva loro di svolgere le normali attività quotidiane. Le indagini si erano basate su incroci di dati e immagini di telecamere che, secondo l’accusa, immortalavano i “finti ciechi” svolgere senza difficoltà attività di ogni tipo: dal fare la spesa a leggere gli scontrini.

“Le imputazioni riguardano solo l’indennità di accompagnamento e non le pensioni. Le perizie hanno esaminato le varie posizioni dei tre imputati e per quanto riguarda le due donne hanno concluso che possono essere ritenute cieche parziali, ma non assolute. Per quanto riguarda Davide F. invece non era da riconoscere come cieco assoluto e forse nemmeno come parziale. Ci sono filmati e controlli svolti dalla guardia di finanza che ci dicono che gli imputati andavano in giro in maniera autonoma” ha detto il pm.

“Rosa B. andava in palestra, leggeva la scheda degli esercizi e ha fatto perfino una denuncia per truffa dicendo che avrebbe potuto riconoscere il truffatore. Anche Giuliana G. faceva tante cose tra cui lavorare al bar e dare i resti. I testimoni sentiti in aula ci hanno detto che queste persone hanno acquisito una capacità di muoversi in ambienti conosciuti ma io credo che ci siano dei comportamenti di tutti e tre gli imputati che esulano dalla capacità di riconoscere luoghi. Ribadisco che nessuno ha contestato la pensione sociale o la cecità parziale, ma la richiesta di indennità di accompagnamento che secondo l’accusa non era necessaria” ha ribadito il pubblico ministero Pischetola.

Il magistrato ha anche replicato all’osservazione avanzata dalla difesa secondo cui l’indennità gli era stata assegnata da una commissione medica ad hoc (come a dire: se errore c’è stato, è da attribuire a chi ha preso quella decisione). “Contesto questa tesi secondo cui domandare è lecito e rispondere è cortesia. Non si può chiedere l’indennità e poi vedere cosa fa la commissione medica ed accettare che se me la riconosce va bene così”.

L’avvocato dell’Inps, che si è costituita parte civile nel processo nei confronti delle due imputate, ha chiesto al giudice di riconoscere un risarcimento danni all’ente. Dopo di lui ha preso la parola l’avvocato Paolo Gianatti, che assiste Davide F., che ha contestato la tesi del pm: “Gli ex compagni scuola e i colleghi hanno detto tutti che non è vero che lui vede cosa c’è scritto sui fogli. C’è la volontà di enfatizzare un comportamento di Davide F. da parte del pm e della polizia giudiziaria: non hanno preso la verità. La verità si è formata in dibattimento ed è che il mio assistito affronta in maniera aggressiva la sua patologia. Lui finge a se stesso e agli altri di riuscire a svolgere una vita normale. Io stesso ho avuto difficoltà a capire che è non vedente. È un’uomo che con tenacia ha sviluppato i suoi sensi oltre la vista: sa andare da casa all’ufficio e anche fino alla stazione. Non ha bisogno di essere accompagnato in questi spostamenti, ma ha bisogno di aiuto se deve cercare un documento. Ha grandi capacità ma ha comunque bisogno di aiuto per certe attività”.

“La questione oggi non è se lui ha o aveva diritto all’accompagnamento, ma come è arrivato a chiedere quell’indennità – ha proseguito il difensore -. La commissione che lo ha visitato sapeva che era dirigente comunale e aveva tutte le carte relative alla sua patologia. Quando lui è andato alla visita ha portato un esame che dimostrava il suo campo visivo e ha prodotto tutti gli esami che poteva, è stato collaborativo”.

“Risulta anche che ci sia una compatibilità tra l’esame diagnostico per immagini e quello del campo visivo fatto grazie alla collaborazione del paziente. Davide F. ha posto una domanda palesando tutte le sue capacità ed incapacità ad un ente pubblico. E sulla base di certificazioni mai contestate una prima commissione ha ritenuto che fosse bisognoso di un accompagnamento. Qui non c’è nessun elemento soggettivo del reato” ha concluso Gianatti.

La discussione terminerà il prossimo 2 novembre quando prenderanno la parola i difensori delle altre due imputate (assistite dagli avvocati Frascherelli, Putignano e Bobone).

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