365 giorni dal sequestro

Un anno senza carbone a Vado Ligure, Tirreno Power: “Danno da oltre 50 mln, ma vogliamo ripartire” video

L'11 marzo del 2014 il sequestro preventivo dei gruppi: da allora sotto le ciminiere è tutto fermo

Vado Ligure, 11 marzo 2014: il giorno del sequestro preventivo dei due gruppi a carbone della centrale Tirreno Power a Vado Ligure, su esecuzione di un’ordinanza del gip Fiorenza Giorgi. Una richiesta dalla Procura savonese nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria che vede numerosi indagati tra amministratori e dirigenti dell’azienda, un provvedimento motivato in una quarantina di pagine e deciso sulla base delle perizie, ambientali ed epidemiologiche, ordinate dagli organi inquirenti.

L’11 marzo 2014: domani sarà passato un anno. Un anno senza carbone, un anno con pesanti ripercussioni per molte aziende dell’indotto, un anno nel quale lo stop alla centrale vadese ha acuito ancora di più la grave crisi occupazionale del territorio, anche su un piano psicologico, con centinaia di lavoratori a rischio e senza, ancora oggi, reali prospettive di lavoro all’orizzonte.

11 marzo 2014, una data che forse rappresenta una sorta di spartiacque per tutta l’economia savonese. Su questo aspetto l’azienda sottolinea: “Lasciate in sospeso, le situazioni non possono che peggiorare; e ora si deve considerare come la stessa chiusura di Terminal Rinfuse ci mette di fronte ad un problema ulteriore, dove scaricare il carbone e a quali ulteriori costi. Ma c’è un impatto più ampio che va chiarito e considerato: la produzione di energia elettrica da carbone consente di mantenere bollette più basse per le famiglie e per le imprese. Se non ci fosse la produzione da carbone in Italia la bolletta costerebbe a tutti di più. Chiudere le centrali a carbone significa in modo diretto aumentare il costo dell’energia per tutti e aumentare i rischi di dipendenza delle fonti di approvvigionamento”.

Si poteva evitare il sequestro preventivo dei gruppi a carbone? E perché gli interventi di ambientalizzazione non sono stati fatti prima? Domande alle quali l’azienda risponde così: “Tirreno Power ha effettuato tutti gli interventi previsti dalla legge e dalle autorizzazioni. La centrale, al momento del sequestro, era addirittura certificata ISO 14001 e registrata Emas, la rigorosa certificazione volontaria ambientale europea che richiede complesse e approfondite procedure e verifiche controllate da organismi indipendenti accreditati, tanto che ottenerla permette addirittura di prolungare la durata dell’AIA”.

L’unico intervento che non si è potuto fare è stata la copertura del carbonile, “peraltro esplicitamente previsto in tutti i piani industriali dell’azienda – puntualizza Tirreno Power – Come noto, l’autorizzazione a costruire la copertura è arrivata solo il 31 dicembre scorso, cioè dopo anni di attesa. La copertura fino al decreto autorizzativo non si poteva fare in quanto sarebbe stata un’opera abusiva. Così come non è stata avviata la realizzazione della nuova unità VL6, la cui autorizzazione è stata impugnata da vari soggetti tra cui alcune associazioni ambientaliste e i comuni. Tutti gli altri interventi sono stati fatti”.

“Il sequestro si basa sulla presunta violazione dell’AIA. Come ha detto lo stesso procuratore di Savona nell’audizione davanti alla commissione parlamentare sui rifiuti, se anche le violazioni contestate fossero accertate, e non lo sono, al massimo comporterebbero una sanzione amministrativa. Il motivo del sequestro è invece un presunto danno ambientale e sanitario risalente a diversi anni fa. Un danno che non è per nulla provato, in quanto esiste solo in una consulenza di parte che non ha mai avuto una validazione scientifica”.

“Secondo quanto trapelato pubblicamente anche attraverso i media, sia l’Istituto dei Tumori di Genova incaricato dall’Osservatorio della Regione Liguria, sia l’Istituto Superiore di Sanità, si sono espressi in modo decisamente critico su metodologia e risultati. Se i consulenti della procura hanno svolto un lavoro rigoroso dovrebbe essere pubblicato su una rivista scientifica, validandolo come accade per tutte le nuove metodologie di indagine epidemiologica. E’ evidente, inoltre, che se la teoria dei danni sanitari e ambientali dovesse avere un fondamento scientifico, si dovrebbe applicare su tutti i siti nel mondo in cui si produce energia da carbone”.

Lo stop forzato di un anno nella produzione del carbone a Vado Ligure ha, naturalmente, comportato una situazione difficile per l’azienda, già esposta sul fronte finanziario con debiti ingenti verso le banche. Si parla di un danno complessivo stimato ad ora a 50 mln di euro, al quale bisogna aggiungere i costi di manutenzione e conservazione degli impianti, oltre ai costi diretti per i lavoratori (a cui l’azienda assicura comunque l’anticipo e una integrazione degli ammortizzatori sociali).

“Desideriamo dire in modo esplicito che nel nostro piano necessariamente non è stato previsto il funzionamento dei due gruppi sotto sequestro, perché oggi indisponibili a tempo indeterminato – precisa l’azienda – Se avessimo previsto la ripresa della produzione in una data qualsiasi, e poi non fosse stata possibile, si sarebbe dovuti ritornare a negoziare tutto da capo. L’azienda vuole far ripartire i gruppi a carbone di Vado, ma può farlo solo in un quadro chiaro e di certezza delle regole e farà tutto quello che potrà a tal fine sul piano legale”.

Ma l’azienda ha voluto chiarire anche in merito alle dichiarazioni del procuratore capo Francantonio Granero davanti alla commissione parlamentare, con al centro proprio l’inchiesta sulla centrale a carbone di Tirreno Power: “Vogliamo ricordare che la centrale non ha mai violato i limiti di emissione, lo dice lo stesso giudice. L’unico motivo per il sequestro è un’indagine epidemiologica che non ha una validazione scientifica”.

“Il procuratore fa il suo lavoro per l’accertamento dei reati ma vogliamo ricordare che qui, per ora, non solo non c’è nulla di accertato, ma dopo quattro anni nemmeno sono state chiuse le indagini. Dopo un anno di fermo della centrale la Regione Liguria dice che la qualità dell’aria non è cambiata. Come si può pensare a un dato più oggettivo di questo? All’interno dell’AIA sono riportati i dati calcolati dell’impatto massimo della centrale, inserite nel Pic il parere istruttorio conclusivo della commissione IPPC. In queste tabelle si vede il contributo di inquinanti della centrale al massimo regime: si tratta di percentuali che variano dallo 0% a qualche punto percentuale. Dati che confermano il motivo per cui a un anno dalla chiusura dei gruppi l’aria non è cambiata”.

E dopo il primo tavolo tecnico governativo ancora interlocutorio, si attende anche l’esito del ricorso al Tar del Lazio presentato dall’azienda contro la nuova AIA: un pronunciamento del Tribunale amministrativo è atteso per la fine del mese di marzo. E quanto al Governo, per ora, solo impegni informali per trovare una soluzione che consenta all’azienda di procedere con l’ambientalizzazione della centrale e riavviare gli impianti, ma nulla di concreto: “Il Governo ha ben compreso che le richieste che stiamo facendo non sono sconti sui limiti emissivi, i più bassi in assoluto per impianti di tecnologia similare, ma sono dovute a valutazioni immotivate nella formulazione dell’AIA”.

“Le nostre richieste sono semplici: è evidente che non si possono far partire i tempi di attuazione delle prescrizioni dalla pubblicazione dell’autorizzazione con gli impianti sotto sequestro. Chiediamo che i tempi decorrano dalla disponibilità degli impianti. Così come è evidente che l’AIA non ha recepito il fatto che la copertura del carbonile è stata autorizzata solo due mesi fa, mantenendo invece la scadenza originaria del 15 marzo 2015, ed è ben noto che ci vogliono circa tre anni per fare i lavori necessari. E ancora, l’avviamento da subito a gas: abbiamo già detto che faremo l’avviamento a gas ma ci sono i tempi necessari per l’acquisto dei materiali, la progettazione e la costruzione dell’impianto, cioè due anni. Tenere bloccata la centrale e i lavoratori per questo tempo è un danno enorme, insostenibile, senza nessun beneficio ambientale: le emissioni dell’avviamento sono ben inferiori all’1% delle emissioni totali. Infine, la centrale ha una certificazione ambientale Emas attualmente sospesa per il fermo dell’impianto. La nuova Aia non prevede che la durata dell’autorizzazione sia prolungata quando questa certificazione dovesse essere confermata”.

E ad anno esatto dalla chiusura dei gruppi a carbone cresce la preoccupazione tra i lavoratori che la centrale possa anche non riaprire più, o meglio che si decreti la parola fine per la produzione a carbone. Su questo l’azienda precisa: “Diciamo con forza che vogliamo far ripartire i due gruppi di Vado e che faremo tutto quanto possibile per riuscirci nella convinzione di avere operato nel completo rispetto delle regole, della salute e dell’ambiente. Abbiamo fatto le nostre perizie e ne siamo assolutamente convinti. Il fatto che dopo un anno di fermo dei gruppi a carbone nulla sia cambiato nell’aria di Savona ci sembra la conferma più evidente”.

Non ci sono piani veri o finti. In una situazione come questa i piani possono essere cambiati seguendo gli eventi. Le alternative sono due ed estremamente chiare: non possiamo essere certi di poter contare sui gruppi a carbone di Vado e se così dovesse essere abbiamo predisposto un percorso che mantiene in vita l’azienda e consente i livelli occupazionali collegati alle attività dei gruppi a gas. Nel frattempo facciamo tutto quello che è possibile per rimettere in funzione i due gruppi a carbone che sono l’asse portante della redditività dell’azienda e poter garantire il lavoro anche a chi opera su questi impianti”.

“Vogliamo precisare che l’azienda non ha licenziato nessun lavoratore nel 2014. Ha avviato e concluso un piano di mobilità volontaria con incentivo all’esodo che ha visto coinvolte complessivamente circa 130 persone in un quadro di razionalizzazione dell’assetto produttivo di tutti i siti”.

“Con riferimento, invece, al fermo dei gruppi a carbone, sono stati attivati dei contratti di solidarietà nell’auspicio di una futura ripartenza, anticipando ai lavoratori, nonostante la tensione finanziaria della società, quanto di competenza dell’Inps nella consapevolezza del dramma che stanno vivendo. E’ evidente a tutti che l’azienda, se avesse voluto far leva sul cosiddetto ‘ricatto occupazionale’, si sarebbe potuta comportare diversamente”.

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