Tomaso e Elisabetta a casa: e anche il docufilm “Più libero di prima” è ormai completo

Albenga. Con la liberazione di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, dopo un’odissea durata cinque anni e il loro rientro in Italia dall’India, anche il docufilm del regista Adriano Sforzi “Più libero di prima” comincia ad avviarsi alla conclusione con un finale di gioia anche per gli stessi produttori. “Abbiamo iniziato la post produzione – conferma il regista – Iniziamo il montaggio, l’animazione e la scelta delle musiche”. Ancora imprecisata la data di pubblicazione del docu-film che potrebbe essere comunque entro la primavera.

Che cosa ha ispirato Adriano Sforzi nella produzione del docufilm? “Quella di vivere tutto attraverso lo sguardo di Tomaso Bruno: uno sguardo della mente che arriva dalle sue parole scritte nelle lettere, che diventano disegno e animazione; e uno sguardo spiato, come da un angolo d’osservazione lontano, che segue i tre giorni di attesa dei genitori prima della sentenza definitiva”. Il disegno animato, estremamente poetico, di Olga Tranchini nel film descriverà il mondo “visto” da Tomaso, con un tratto semplice, quasi infantile. Il materiale d’archivio di questi cinque anni, fotografie, riprese televisive o amatoriali, e tanti punti di vista su questa vicenda, racconteranno le reazioni del mondo “fuori dal carcere di Varanasi”.

Cosa rappresenta per voi “Più libero di prima”? “E’ un film sulla capacità di affrontare l’imprevedibilità della vita, a volte ingiusta e inesorabile, che può toccare chiunque – dice Sforzi – È il “romanzo di formazione” di un giovane occidentale, in cerca di se stesso, capace di avere un’evoluzione positiva nonostante la reclusione in una cella da quattro anni. Ma questo è anche la storia universale dell’amore di due genitori, Euro e Marina, che ci daranno la possibilità di chiederci quanta fede abbiamo e fino a che punto crediamo davvero nelle persone che amiamo: cosa siamo davvero disposti a fare, per la loro libertà?”.

Chi è Tommy per Adriano Sforzi? “Lo conosco fin da bambino, quando giocava nel campetto da calcio dell’oratorio e io, poco più grande, gli facevo da “allenatore” – racconta – I percorsi della vita ci hanno fatto incontrare molti anni dopo a Bologna dove, sotto le stelle di Piazza Maggiore, parlavamo tutta la notte cercando il modo di uscire dagli schemi preconfezionati della nostra vita. Incredulo come tutti, non sapevo come partecipare alla rabbia per la sua incarcerazione. Poi, come tutti, leggendo le sue lettere ho avuto la possibilità di reagire: lì dentro ho trovato il cuore e la forza di fare questo film. In quelle parole scritte a mano, in quattro anni e mezzo trascorsi dietro le sbarre, c’è il meraviglioso romanzo di formazione di un ragazzo che diventa uomo. C’è un urlo di innocenza che risuona nella testa di chiunque le legga, c’è un significato universale di libertà. Avevamo la speranza di chiudere il film riportando a casa Tomaso. Ci siamo riusciti“.

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