Cronaca

Morte di Naomi Nardo: rito abbreviato per due medici

Savona. Saranno giudicati con il rito abbreviato i due medici indagati nel procedimento per la morte di Naomi Nardo, la dodicenne stroncata da una grave forma tumorale nel 2010. A deciderlo è stato questa mattina il giudice Fiorenza Giorgi che, in udienza preliminare, ha accolto la richiesta avanzata dai difensori degli imputati di accedere al rito alternativo.

La discussione del processo è stata fissata per il prossimo aprile quando, salvo sorprese, arriverà anche la sentenza. A giudizio ci sono Luigi Caliendo ed Ezio Venturino dell’Anatomia e Istologia Patologica del San Paolo.

Secondo la tesi dell’accusa, i due medici dopo aver esaminato nel 2002 il campione di pelle della mano della bambina asportato dai chirurghi ne avevano tratto conclusioni che poi si erano, secondo il pm e i suoi consulenti, riverberate nel corso degli anni.

Nella richiesta di archiviazione degli altri medici inizialmente indagati (cinque in tutto tra specialisti del San Paolo e del Gaslini), il pubblico ministero afferma infatti che “l’errore diagnostico iniziale ha condizionato in maniera significativa l’approccio diagnostico e terapeutico dei medici che ebbero successivamente in cura la minore, sino al momento in cui la patologia aveva raggiunto un punto di sviluppo tale da non essere più reversibile” concludendo che “in presenza quindi dell’erronea diagnosi di ‘lesione melanocitaria benigna’ non vi era indicazione certa ad ulteriori interventi chirurgici come radicalizzazione o biopsia del linfonodo sentinella”.

Una ricostruzione sulla quale ora dovrà esprimersi il giudice Giorgi, ma che secondo i genitori della piccola, Matteo e Melinda Nardo (che si sono poi costituiti parte civile con l’avvocato Roberto Suffia), non rispecchia completamente la realtà.

“Spetterà al magistrato decidere, naturalmente. Però noi non possiamo dimenticare l’odissea di Naomi e i tanti, troppi momenti in cui una scelta diversa da parte dei medici, un esame in più, le avrebbe dato ben altre possibilità di sopravvivenza” dicono i genitori.

Gli snodi della vicenda sono molteplici ed è difficile riassumerli in poche righe. Il punto di partenza, dopo l’operazione del 28 ottobre 2002 quando a Naomi venne asportata (secondo alcune perizie successive in modo non completo) una neoformazione di un centimetro di diametro sulla mano destra, è l’esame istologico che all’epoca stabilì che la patologia era un “nevo di Spitz composto”. Nel 2010 il luminare americano C.D.M. Fletcher, direttore del dipartimento di patologia del Brighamand Women Hospital di Boston, analizzando i “vetrini” dei campioni prelevati durante l’operazione, classificherà la patologia come un “tumore melanocitario epitelioide atipico con potenziale maligno incerto”.

Insomma – dicono i genitori di Naomi – “una diagnosi che avrebbe dovuto far scattare controlli periodici e un livello di attenzione molto alto”. Invece, quando tra dicembre 2008 e gennaio 2009 sul gomito di Naomi compare uno strano gonfiore, “al Gaslini il caso viene sottovalutato e la lesione scambiata per un neurofibroma”. Si perde, sostengono i genitori insieme ai loro periti, altro tempo anche perché i vetrini dell’istologico recuperati a Savona sono definiti “insufficienti per un esame completo”.

Intanto il tumore va avanti, inesorabile. A novembre 2009, finalmente, Naomi viene operata alla mano e al braccio e il nuovo esame istologico dà la conferma: neoplasia maligna. Il resto è dramma: settimana dopo settimana il sorriso di Naomi si spegne e il male (come testimonia una fotografia scattata qualche settimana prima della morte della bimba e che i genitori ora hanno scelto di diffondere) inesorabilmente prende il sopravvento.

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