Cronaca

Morte di D’Angelo, dopo un mese di indagini resta ancora il mistero: l’ipotesi “fatalità” non convince del tutto

d'angelo

Cairo M. Tanti dubbi e poche certezze. Sono quelli che aleggiano intorno alla morte di Giancarlo D’Angelo, l’imprenditore cairese ritrovato carbonizzato il 25 novembre nel camioncino della parrocchia di Lavagnola su una stradina della Val Bormida, nella zona di Rocchetta di Cairo. Da quel giorno gli inquirenti lavorano su varie piste: incidente, suicidio e infine anche quella dell’omicidio mascherato da suicidio. Tre ipotesi, tutte possibili, ma con troppi dettagli che ancora non combaciano tanto che gli investigatori ancora non sono riusciti a chiarire questo mistero.

Sull’incidente non convince la dinamica: è difficile che un veicolo a gasolio, rovesciandosi, prenda fuoco e un corpo che si trova nell’abitacolo venga carbonizzato in modo completo. Quello del furgone di D’Angelo è stato un rogo “concentrato” e che ha lasciato pochi segni nella vegetazione circostante mentre ha cancellato il corpo dell’autista. L’esame autoptico eseguito dal medico legale Marco Canepa ha confermato che d’Angelo è morto per ustioni e asfissia, quindi respirava al momento del rogo. Difficile dire però se fosse o meno cosciente oppure potesse essere stordito o, magari, drogato. Proprio su quest’ultima ipotesi si stanno concentrando gli accertamenti di laboratorio.

L’ipotesi del suicidio convince poco: anche ammettendo che D’Angelo fosse stato in quel luogo isolato per uccidersi, è difficile credere che quell’incidente gli abbia risparmiato il “disturbo”. La pista omicidio volontario è quella che “campeggia” anche sull’intestazione del fascicolo. Questo non significa che gli inquirenti abbiano la certezza che l’imprenditore sia stato ucciso, ma certamente vista la sua storia non è una possibilità così astratta. D’Angelo era stato processato ed assolto per l’omicidio di Alberto Genta ed era detenuto in semilibertà a Savona per una condanna relativa ad un procedimento fiscale. All’ora della sua morte si sarebbe dovuto trovare in carcere dove, dopo il lavoro nella parrocchia savonese, doveva rientrare ogni sera.

D’Angelo non era autorizzato a uscire dai confini della parrocchia, ma allora perché era in Valbormida? Il secondo interrogativo riguarda l’”incidente”: il furgone è stato ritrovato ruote all’aria, sostanzialmente intatto, con l’abitacolo integro ma devastato dal fuoco, mentre il cassone non è stato intaccato dalle fiamme. Uno scenario da considerare almeno anomalo se si immagina che l’incendio si sia originato dopo uno schianto accidentale. Il mezzo inoltre era alimentato a gasolio che ha un punto d’infiammabilità molto più altro della benzina. Nel cassone del furgoncino c’era anche una tanica di miscela per il decespugliatore della parrocchia, che potrebbe essere stata usata come innesco. La tanica è poi stata trovata semicarbonizzata poco distante. Elementi che lasciano spazio a troppi dubbi e alimentano il mistero su una morte che, visto il nome della vittima, non può essere archiviata in maniera sbrigativa come un semplice “incidente”.

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