Cronaca

Il giallo della morte di D’Angelo, perché era lì? Molti punti oscuri e spunta anche l’ipotesi suicidio

d'angelo

Cairo M. L’ipotesi della tragica fatalità è stata la prima ad essere presa in considerazione, ma non si esclude nemmeno quella del suicidio. Gli inquirenti stanno facendo indagini a 360° per chiarire in quale contesto vada inserita la morte di Giancarlo D’Angelo, l’imprenditore cairese di 62 anni trovato morto carbonizzato dentro ad un camioncino lunedì sera in località Vignaroli, a Rocchetta di Cairo.

Il mezzo, un “gasolone” di proprietà della parrocchia di Lavagnola, è stato ritrovato ribaltato su un fianco, con l’abitacolo distrutto dalle fiamme ed il corpo di D’Angelo all’interno. L’autopsia eseguita ieri dal medico legale Marco Canepa ha accertato che l’uomo è morto per le ustioni e per le esalazioni provocate dall’incendio. Ad ucciderlo insomma non sono stati i traumi dell’incidente, ma certamente D’Angelo, dopo lo schianto, non è più riuscito ad uscire dal camioncino. Una delle possibili ricostruzioni è che l’imprenditore abbia perso il controllo del furgoncino, forse a causa della velocità o di un malore, finendo fuori strada. A quel punto si sarebbe scatenato il rogo. Gli inquirenti però non escludono nemmeno che si sia trattato di un gesto volontario: vicino al mezzo è stata trovata una tanica di benzina. Un elemento che potrebbe far pensare all’ipotesi del suicidio e ad un rogo non accidentale. Questa tesi però, finora, non ha trovato alcun riscontro concreto.

Restano però tanti punti interrogativi: perché D’Angelo, che era detenuto in regime di semi libertà per reati fiscali (di giorno lavorava per la parrocchia di Lavagnola e di sera rientrava in carcere) si trovava in quel posto a quell’ora? L’imprenditore infatti alle 19,30 sarebbe dovuto rientrare al Sant’Agostino come sempre ed invece guidava lungo una strada isolata di campagna. I carabinieri hanno anche accertato che in quella zona la famiglia di D’Angelo non ha terreni di proprietà e, di conseguenza, resta difficile spiegare la sua presenza lì.

La vita di Giancarlo D’Angelo, dopo anni passati sotto i riflettori soprattutto per il caso del delitto Genta (era finito a giudizio e poi assolto dall’accusa di aver ucciso il “faccendiere” di Altare), negli ultimi tempi procedeva tranquilla tra carcere e lavori in parrocchia. Una routine spezzata misteriosamente lunedì sera dal rogo nella stradina isolata di località Vignaroli.

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