Lettera al direttore

Ostinati Savona: “A proposito dei Rom”

La ricerca psico-antropologo-sociologica più avanzata su questa tipologia di marginalità (Glauco Sanga, Marzio Barbagli, Leonardo Piasere, Dick Zatta, Francesco Remotti) usa un’analogia fra i Rom e le antiche popolazioni nomadi di cacciatori-raccoglitori, evidenziando però che l’ambito della raccolta si è oggigiorno ampliato. I prodotti della raccolta non sono più solamente i prodotti della terra o della caccia ma anche i prodotti dell’attività industriale, ciò spiega la mancanza di senso di colpa in coloro che si dedicano ai furti quotidiani.

Nelle comunità Rom, rubare ai gagé (i non zingari) è spiegabile con la teoria dello svantaggio sociale e privazione relativa. Secondo questa teoria l’individuo è un animale morale, che durante l’infanzia e l’adolescenza interiorizza le norme della società in cui vive. Se viola queste norme (uccidere, rubare, etc.) è a causa della frustrazione causata tra lo squilibrio esistente fra la struttura culturale, che definisce le mete verso cui tendere socialmente, e la struttura sociale, costituita dalla distribuzione effettiva delle opportunità reali. Le frustrazioni (sentimenti di ingiustizia, sdegno, risentimento, etc.) determinano il senso di privazione relativa, che non nasce dalla condizione obiettiva del soggetto, ma dal gruppo di riferimento che sceglie: dal rapporto tra aspirazione e realtà.

In base a questa teoria, i Rom fanno propria la meta culturale (il successo economico) del paese dove sono emigrati, senza avere però la possibilità di raggiungerla legalmente. La stessa teoria spiega la minore incidenza dei reati commessi nelle regioni meridionali, dove vige l’arte di arrangiarsi e di accontentarsi perché il grado di aspettativa è meno elevato.

I Rom hanno una storia nomadica secolare. Negarla e pretendere di farli diventare stanziali è un controsenso. I Rom non sono assimilabili ad altre minoranze etniche, vivono in due mondi paralleli che sono incompatibili. Il costante rapporto con i gagè (i non Rom) è una relazione del tutto diversa con quella di altri popoli e minoranze etniche. Una relazione che non è di confine, in quanto non vi sono territori Rom e territori non-Rom; né può essere definita una relazione coloniale, in quanto i gagè non hanno mai conquistato i Rom, né viceversa. Le popolazioni non-Rom costituiscono l’ambiente sociale dove vivono i Rom, cercando di sfruttare le loro risorse economiche e territoriali, convivendo in un’ostilità estrema e collocandosi in tutte le nicchie nelle quali intravvedono una possibilità.
La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI), depreca l’istallazione di campi nomadi, in quanto frutto di una politica segregazionista, che contraddice le stesse intenzioni degli attuatori. Le politiche di pubblica sicurezza e di controllo sociale dei Rom, l’isolamento e la scarsa visibilità dei campi favorisce l’occultamento e la dissimulazione degli elementi pericolosi, aggravando la situazione sia dal punto di vista dell’incolumità di chi vive nei campi, sia peggiorando il giudizio negativo su di essi.

Tra i Rom presenti in Italia, circa 30-40.000 unità provengono dalla ex Jugoslavia. Alcuni erano presenti da più decenni in Italia, immigrati di terza generazione, ragazzi cioè nati in Italia da genitori, a loro volta nati in Italia, ma una gran parte di loro non ha mai posseduto un’autorizzazione stabile al soggiorno. Altri invece sono emigrati per sfuggire alla guerra civile ed alle persecuzioni etniche, venendosi così a trovare in una condizione di apolidia di fatto, a causa della distruzione dei registri anagrafici in molte città della Bosnia ed Erzegovina e del Kosovo.
In Italia sono inoltre presenti circa 30-40.000 Rom provenienti dalla Romania, arrivati a partire dalla seconda metà degli anni novanta. Costretti alla sedentarizzazione forzata durante il regime totalitario comunista, i Rom hanno subito fenomeni gravi di discriminazione (espulsione dei minori dalle scuole, roghi delle case, pestaggi, ecc.); in seguito alla caduta del regime sono fuggiti dalla Romania e l’esodo verso i paesi dell’Europa occidentale continua anche dopo l’ingresso di questo paese nell’Unione Europea.

L’altissima incidenza statistica di reati, quali furto e borseggio, tra i minori Rom, viene considerato erroneamente come un fenomeno fisiologico alla formazione di una società multiculturale, al quale si somministrano i consueti strumenti socio assistenziali tipici di ogni marginalità sociale ed economica. Viceversa esso è lo specchio di una natura di reati tipici predatorii difficilmente gestibili. Tra i minori Rom infatti solo il 37% dei segnalati risultano presi in carico dal servizio sociale di giustizia minorile, (74% degli italiani e 54% degli stranieri). Ciò è dovuto alla rigidità del sistema giudiziario minorile italiano, basato più sullo sfruttamento delle risorse esistenti (numero di operatori, comunità minorili, centri di aggregazione giovanile, progetti di inclusione sociale e recupero, etc.) che sulla sperimentazione di sistemi flessibili adeguati alle diverse tipologie di casi. Ciò rende complicato se non impossibile gli interventi rieducativi, dovuti alle condizioni di arrivo del minore, spesso già recidivo a causa del difficilissimo ambiente di vita nei campi Rom. L’insuccesso, anziché portare ad un proficuo atteggiamento di autocritica e di cambiamento, favorisce invece il giustificazionismo culturale della devianza minorile dei Rom e la deresponsabilizzazione degli operatori della giustizia minorile e dei servizi sociali.

Nat Russo
Ostinati Savona

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