Cronaca

Nel carcere di Varanasi insieme a “Le Iene”: Tomaso ed Elisabetta raccontano la loro verità

India. “Le Iene” hanno portato i telespettatori all’interno del carcere di Varanasi dove, da 19 mesi, sono rinchiusi due italiani con l’accusa di omicidio e la condanna in primo grado all’ergastolo.

Celle decadenti e sovraffollate da cui all’improvviso compaiono Tomaso ed Elisabetta: sono loro, secondo i giudici indiani, gli assassini di Francesco Montis con il quale erano giunti a Varanasi per un viaggio che avrebbe dovuto coprire giusto lo spazio di qualche settimana. E invece i due ragazzi – albenganese lui e torinese lei – sono qui da quasi due anni, dietro le sbarre di una prigione puzzolente a subire le conseguenze di una sentenza di condanna che, comunque la si pensi, presenta oggettivamente qualche anomalia.

Tomaso indossa la maglia dell’associazione “Alziamo la voce” che, dall’inizio di questa storia, si batte perché il caso dei due giovani non venga dimenticato, mentre Elisabetta ha un velo sul capo. Raccontano della loro vita in baracconi da condividere con 130 detenuti – assassini, stupratori, spacciatori, mafiosi – dormendo per terra, in locali in cui non vi è l’acqua corrente e le condizioni igieniche sono a dir poco disastrose. “Qui, se qualcuno sgarra, se scoppia qualche diverbio, ti chiamano subito a rapporto e a bastonate ti prendono: non si scherza”, racconta Tomaso.

L’inviato della trasmissione di Italia 1 racconta la vicenda dei due giovani, partendo dalla mattina in cui Francesco viene trovato agonizzante nella camera d’albergo che i tre condividevano fino alla sentenza di condanna. “Quel pomeriggio io e Francesco abbiamo acquistato hashish ed eroina – racconta Elisabetta – per poi consumarla tutti e tre nella stessa serata. La mattina Francesco non dava segni di vita, mi sono spaventata, ho svegliato Tomaso e lo abbiamo portato in ospedale”.

“Qui ci hanno detto che era deceduto – continua Tomaso – e abbiamo dovuto lottare affinché ci facessero almeno coprire il corpo, visto che in pochi minuti era già arrivata una schiera di giornalisti pronta a fotografare. Alla fine lo hanno portato in uno sgabuzzino e ci hanno chiesto di consegnare i passaporti. Siamo stati piantonati in albergo e poi arrestati”.

L’accusa parla di asfissia da strozzamento ma “Le Iene” sottolineano le varie anomalie della vicenda: un’autopsia svolta non da un medico ad hoc bensì da un oculista (che, intervistato, si dice certo al 100% che si tratti di omicidio), un movente che non regge (la tesi del triangolo amoroso che avrebbe portato i due ipotetici amanti a sbarazzarsi del ‘terzo incomomo’ sarebbe supportata solo dal fatto che i tre condividevano la stessa camera d’albergo, cosa che in un Paese come l’India non è vista di buon occhio), una sentenza di condanna che, a pagina 73 del documento, dice che “il movente che ha spinto i due accusati ad uccidere Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove” per poi continuare, in modo contraddittorio, con “tuttavia si può comunque ipotizzare che Tomaso ed Elisabetta avessero una relazione intima illecita”. “Si può condannare qualcuno sulla base di un’ipotesi?”, si chiede l’inviato.

“Io e Tomaso non avevamo alcuna relazione – dice Elisabetta – Fantasia allo stato puro”. Inoltre, nell’autopsia si fa cenno ad un’emorragia al cervello ma senza considerarla più di tanto. Gli esperti italiani interpellati da “Le Iene” dicono che quella emorragia potrebbe spiegare da sola la morte di Francesco (e che non ha nulla a che vedere con un ipotetico strozzamento), che non è ammissibile un esame autoptico svolto da un oculista e che questo, così come redatto, non dà alcuna spiegazione di quel decesso. “L’eroina può uccidere eccome e su quell’emorragia si sarebbe dovuto andare a fondo”, commenta il professor Riccardo Zoia, ordinario Medicina Legale di Milano.

Non solo: sul corpo di Francesco sono stati trovati anche morsi di animali, probabilmente topi, segno che le condizioni igieniche dell’obitorio di Varanasi erano pessime così come mostrato anche dalle immagini della trasmissione televisiva. Questa autopsia, dicono anche gli esperti italiani, non può essere considerata una prova concreta in un processo.

Intanto, proprio oggi, dovrebbe essere discussa l’istanza di libertà su cauzione presentata dai legali di Tomaso ed Elisabetta che aspettano un processo che rischia di durare anni.

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