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Acqua, il sindaco Miele: “Gestione privata con efficaci controlli pubblici”

Miele Garlenda

[thumb:15359:l]Garlenda. Il clamore che ha seguito l’approvazione del decreto legge 135, in particolare dell’articolo 15 dello stesso, continua a far discutere. Sul tema, l’adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica e la conseguente “privatizzazione” dell’acqua, interviene Giuliano Miele, sindaco di Garlenda.

“La questione sembra avere assunto in molti casi aspetti ideologici e di contrapposizione politica che poco o nulla hanno a che fare con il merito del tema – dichiara il primo cittadino di Garlenda -. Nel merito poi il servizio di approvvigionamento e fornitura dell’acqua qualcuno vorrebbe fosse definito privo di rilevanza economica, omettendo di precisare che privo di rilevanza economica non vuole dire ‘gratis’. Quindi l’acqua in sè può essere gratis, ma la canalizzazione, l’emungizione, la distribuzione, la manutenzione e la conseguente depurazione hanno un costo”.

“La domanda cui dobbiamo dare una risposta – afferma Miele – è la seguente: in questo processo le perdite degli acquedotti colabrodo, l’inefficienza della distribuzione passando dalla gestione pubblico a privato puòmigliorare? E, ancora, l’utile da distribuire al privato e che non è previsto nella gestione pubblica deve restare all’interno di questa migliorata efficienza e quindi non incidere sugli odierni costi complessivi di distribuzione? Se la risposta è sì non dobbiamo avere paura della gestione privata dobbiamo solo prevedere efficaci sistemi di controllo pubblici”.

“E’ chiaro – spiega il sindaco di Garlenda – che in linea di principio mi sento di condividere la preoccupazione che il servizio gestito da società esclusivamente private in carenza di efficaci sistemi di controllo pubblici possa far lievitare i costi senza una corrispondente migliore qualità del servizio. Del resto il conferimento del servizio stesso non è comunque vero che debba essere affidato esclusivamente ai privati”.

“L’articolo 15 della citata legge al punto 2 comma b – illustra Miele – cita espressamente che le società cui può essere conferito il servizio possono essere miste pubblico privato, precisando che la partecipazione minima del privato non può essere inferiore al 40%, quindi a società con il massimo del 59% in mano pubblica ed un minimo del 41% privata. Al punto 3 poi precisa i casi in cui può essere conferita la gestione ad una società esclusivamente pubblica e pur essendo le condizioni molto restrittive non sono così sicuro che in questa casistica non possano rientrare molti casi, e magari anche nel nostro”.

“Quindi – prosegue – affermare o lasciare intendere che il decreto legge 135 all’articolo 15 prevede il conferimento ‘esclusivo’ ai privati è tendenzioso, inesatto e parziale. Quello poi che non si dice è che il servizio esclusivamente pubblico di gestione degli acquedotti è spesso largamente inefficiente per la vetustà degli impianti, si trasforma in costi di gestione molto più elevati e che sono conseguenza della mancanza di investimenti”.

“Inoltre – conclude Giuliano Miele – raramente la gestione pubblica presenta un pareggio di bilancio e i comuni sono costretti a coprire lo sbilancio attingendo alle scarse entrate comunali coprendo i passivi della gestione dell’acquedotto con soldi che potrebbero essere indirizzati verso altri importanti servizi per la comunità siano essi di manutenzione generale del territorio come strade, piazze, parcheggi, di arredo urbano oppure di servizi pubblici con conseguente miglioramento della qualità della vita dei cittadini”.

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